Diventare grandi è una meta rilevante per ogni piccola e media azienda. La crescita prevede però cambiamenti di approccio e mentalità importanti, e contiene alcuni rischi di fronte ai quali è meglio non farsi trovare impreparati per gestire al meglio il passaggio. L’analogia con la crescita degli esseri umani può darci alcune indicazioni utili da riportare nel mondo aziendale. Sono molti gli approcci e le modalità di comportamento che differenziano le persone piccole (i bambini) dalle persone grandi (gli adulti), ma tre sono particolarmente rilevanti per il nostro tema: l’orizzonte temporale; la tipologia di relazioni e il rapporto con le responsabilità.
1) Partiamo dall’orizzonte temporale.
Chi è genitore sa e ha ben presente che il mondo dei bambini èil mondo del «tutto e subito», con un orizzonte temporale di brevissimo termine. Se parliamo dei neonati, è addirittura immediato: fame, sonno, sete sono bisogni che richiedono una soddisfazione tempestiva.
Altrimenti scatenano frustrazione, pianti e urla. Vale anche per bambini più grandi: «Voglio un gelato o un gioco e lo voglio
subito». Noi adulti talvolta chiamiamo questo comportamenti “capricci”, ma non è corretto! La richiesta di immediatezza dei
bambini è legata alla reale e concreta difficoltà di vedere la propria vita in uno sviluppo temporale fatto di step. Il «qui
e ora» è più importante di domani, perché il domani per loro ha davvero poco senso.
L’orizzonte temporale dell'adulto è invece sia di breve, sia di lungo periodo. Anche l’adulto può avere necessità legate al qui e ora però, se non riesce a soddisfarle subito, non resta (o non dovrebbe restare) in loro balia come un bambino. L’adulto ha la capacità di proiettare il suo desiderio nel tempo e di organizzarsi per realizzarlo. Sa che esistono due riferimenti temporali: il qui e ora e il domani. Questo non significa che l’adulto smette di avere bisogni o desideri, ma che ha imparato a vedere i propri sogni realizzabili attraverso un percorso e una serie di azioni, ed è capace di organizzarsi modo funzionale all’obiettivo da raggiungere.
Qual è il rischio dell’adulto che ha imparato a riconoscere e gestire anche l’orizzonte di lungo periodo? Che qualche volta si innamori del piano o del programma in sé, e si dimentichi il desiderio per cui lo ha costruito. O che si trinceri dietri la sicurezza che danno le attività definite e strutturate e perda il coraggio di pensare a qualcosa di nuovo e diverso. Quante volte troviamo persone ingessate nei loro schemi di lavoro, incapaci di cogliere spunti e idee se queste non rientrano in programmi organizzati e definiti?
Nella realtà aziendale, l’azienda piccola è prevalentemente orientata su un orizzonte immediato e vicino, perché deve crescere e ha bisogno di verificare giorno per giorno la bontà delle sue scelte; consapevole di dover essere flessibile e veloce nel suo modo di operare. L’azienda grande è concentrata contemporaneamente sul breve e lungo termine: deve crescere, ma deve anche rendere stabile nel tempo la crescita. Il rischio è che il termine “stabile” prenda il sopravvento rispetto a “crescita”, e che l'organizzazione, la pianificazione, la definizione di come lavorare diventino il fine e non il più mezzo per continuare a crescere. E che burocrazia e rigidità prendano il sopravvento.
2) Un secondo aspetto della analogia è legato alla tipologia delle relazioni.
I bambini vivono in un contesto semplice da decodificare; possono tenere sotto controllo la loro vita relazionale “a vista”: mamma, papà, fratello, tata, nonno, maestro, amico, compagno.
E queste dimensioni sono quelle che gli permettono di capire il suo ruolo, di assegnare ruoli chiari ai pochi interlocutori
che ha intorno e di definire la sua identità. Nel mondo adulto, le reti e le relazioni sono più numerose e articolate, a volte anche con intrecci complessi: famiglia di origine e famiglia che creiamo, figli, amici delle vacanze e degli sport,
vecchi compagni di scuola, colleghi dei diversi posti di lavoro, poi anche coniuge, ex coniuge, amante…
Un bambino diventa adulto anche grazie al fatto che impara a creare relazioni nuove, ad aprire i confini della famiglia e ampliare i contatti e i punti di vista; a gestire connessioni differenti con più persone. Se non lo fa resta un «bambino grande», ancorato alla famiglia di origine e agli amici dell’infanzia. Con la crescita le relazioni aumentano, quindi, e si fanno via via anche più ricche e divertenti, permettendoci di fare molte più cose rispetto all’infanzia.
Qual è il rischio di tanti snodi e relazioni articolate nella vita adulta? Che non si ha tempo per tutti e si devono fare delle scelte. Da adulti dobbiamo imparare a trovare modalità differenti per restare in contatto, per essere informati su cosa succede e per comunicare con le persone più lontane. Se non impariamo queste strade alternative, siamo destinati a isolarci o a restringere il nostro contesto relazionale a pochi intimi, e a tornare un po’ piccoli tra i grandi.
Nelle aziende che crescono, l'ampiezza del network e delle reti di relazione si amplia. La complessità del contesto aumenta. Diventa più difficile comunicare, raccogliere i segnali, creare scambio e condivisione di valori, di competenza, di punti di vista. Il rischio è in questo caso perdere contatto e scambio di informazioni tra manager e collaboratori e tra azienda e il mercato esterno. La soluzione non è cercare di semplificare la complessità, perché si creerebbero compartimenti stagni, specializzazioni rigide e ruoli poco interscambiabili. La vera leva è di lavorare su una cultura del confronto, con regole di comunicazione che enfatizzino lo scambio, consapevoli che relazioni numerose e complesse portano ricchezza e nuove opportunità.
Il terzo aspetto dell’analogia è il tema della responsabilità sui comportamenti e decisioni.
Il bambino solitamente riceve un feedback veloce e immediato su ciò che fa o decide, perché di fatto è sotto la supervisione dei genitori, o degli insegnanti. Ha dietro di sé una rete di controllo; la responsabilità
sulle sue azioni è spesso in mano a qualcun altro. Se spacca a sassate un vetro a scuola è parzialmente responsabile: lo sono
anche i suoi genitori, che non gli hanno fatto capire come comportarsi, o l’insegnante, che non lo ha fermato o controllato
a sufficienza durante l’intervallo.
Per l’adulto è diverso, per fortuna. L’adulto è reputato tale se e quando si assume la responsabilità diretta delle sue azioni, quando impara a riconoscere i legami di causa - effetto nei propri comportamenti e a farsene carico, senza che ci debba essere qualcun altro a controllare la correttezza dei suoi comportamenti. In età adulta, il rischio talvolta è di trasformare il concetto di responsabilità in autoreferenzialità, e di decidere e operare senza più confrontarsi con gli altri. La persona responsabile invece è quella capace sia di cercare feedback e confronto, sia - nel momento in cui accetta di portare avanti un compito - di prendersi la responsabilità sul processo e sul risultato che deve raggiungere.
Un’azienda piccola può demandare la responsabilità a chi la guida, a chi avuto l'idea e al piccolo gruppo che si è aggregato al progetto iniziale. Nell’azienda che diventa grande la responsabilità deve essere distribuita e diffusa. È nelle singole persone e nei ruoli che rivestono, nelle loro azioni e comportamenti. Diversamente, l’azienda non riesce a lavorare: avrebbe processi decisionali troppo lunghi, controlli esagerati e allora sì, diventerebbe subito burocratica e rigida.
La miglior difesa rispetto ai rischi del diventare grandi, in tutti i sensi, è una cultura dove la responsabilità è diffusa, e dove il feedback tra ruoli e il confronto su punti di vista differenti sono considerati elementi di valore.
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