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Ecco perché robot e intelligenza artificiale in Italia non fanno paura

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INDAGINE AIDP-LABLAW

Ecco perché robot e intelligenza artificiale in Italia non fanno paura

I lavori a rischio? Quelli poco qualificati. Il messaggio che emerge dal primo rapporto Aidp-LabLaw su robot, intelligenza artificiale e lavoro in Italia, realizzato da Doxa, è assai esplicito e riflette un atteggiamento tutt’altro che preoccupato dei lavoratori. Il 54% degli addetti interpellati si dichiara infatti favorevole all’impiego delle nuove tecnologie in azienda e solo il 16% si dice contrario; l’87%, addirittura, esclude la possibilità che macchine, chatbot e algoritmi possano sostituire del tutto le persone, azzerando quasi completamente il teorema della generalizzata paura per la possibile perdita del posto di lavoro. Il timore legato alla propria occupazione, nel 74% dei casi, riguarda invece una particolare tipologia di professionalità, quella legata ai meno giovani e ai meno scolarizzati.

Tra le diverse categorie di lavoratori, sono gli operai a dichiararsi maggiormente a favore dell’utilizzo dei robot e dell’intelligenza artificiale (i pareri positivi sono il 78% del totale), seguiti dai quadri (66%) e dagli impiegati (60%). La ricerca ha quindi evidenziato i pro e i contro legati all’automazione avanzata di alcuni processi aziendali. Sul fronte dei benefici, il 70% dei lavoratori punta sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, il 65% sulle condizioni e i carichi di lavoro e il 47% sugli orari; fra gli impatti indesiderati, invece, il 48% teme che questi possano interessare le retribuzioni, il 43% la gratificazione e la soddisfazione dei lavoratori e il 39% le opportunità di carriera. Su un punto la stragrande maggioranza degli addetti oggetto di indagine (l’83% per la precisione) si esprime in modo compatto, ed è quello che prevede il ripensamento del sistema formativo nazionale. Un passaggio ritenuto fondamentale per cogliere tutte le opportunità che le nuove tecnologie offrono.

Detto che ci sono evidenti differenze di valutazione fra chi lavora in aziende già robotizzate rispetto a chi è occupato in realtà che ancora non lo sono (il 67% del primo cluster, per esempio, valuta nel complesso positivamente l’utilizzo dei nuovi sistemi, contro il 53% del secondo) è interessante registrare quale sia l’atteggiamento di manager e imprenditori. Tra questi ultimi spicca un deciso ottimismo, in considerazione del fatto che ben l’83% esprime una valutazione positiva sugli impatti dell'intelligenza artificiale e dei robot sul lavoro.

Improntata all’ottimismo è anche la riflessione di Isabella Covili Faggioli, presidente di Aidp, che fa riferimento a un «modo radicalmente diverso e più consapevole di affrontare la rivoluzione digitale, che rassicura la persona sulla sua importanza ed insostituibilità se non nei ruoli dove vuole essere sostituita per stare meglio. Sono tre secoli - ha aggiunto - che il rapporto uomo macchina è complicato perché basato sulla paura che le macchine, in questo caso i robot, sostituiranno le persone mentre si è poi sempre verificato che è solo migliorata la qualità della vita e che si sono venute a creare nuove professionalità».

Allineato a questa tesi, infine, è anche il punto di vista di Francesco Rotondi, giuslavorista e co-founder di LabLaw, secondo cui «non si tratterà, in buona parte, di perdita di posti di lavoro ma di trasformazione, perché non tutte le mansioni connesse alle posizioni colpite potranno essere delegate ai robot. Il lavoro, in sostanza, ci sarà, ma dovremo esser in grado di favorire percorsi fondati sull’acquisizione delle competenze necessarie a continuare ad essere parte di un mercato del lavoro che, come in passato, si adeguerà alla rivoluzione tecnologica in corso».

Un aspetto che, a detta di Rotondi, oggi appare ben presente nella percezione dei lavoratori, tanto da spostare la partita sul piano delle relazioni industriali e, soprattutto, della (ri)qualificazione professionale, tema che sarà centrale per tutti. Lavoratori, imprenditori e manager. La prova? Ci arriva da uno dei tanti indicatori emersi dall’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, che ha rilevato come un terzo delle aziende italiane campione abbia avuto necessità di assumere nuove figure professionali per implementare soluzioni di AI, al cospetto di un 39% che lo ha fatto senza modifiche di organico e di un 27% che ha sentito la necessità di ricollocare del personale a seguito dell’introduzione di applicazioni basate su questa tecnologia.

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