Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno lasciato la Cina, mille persone sono al lavoro per smantellare la location dove avrebbe dovuto tenersi la sfilata-kolossal, cancellata dopo le accuse di razzismo e sessismo montate sui social network contro gli stilisti e il loro marchio. In Cina non si può accedere ai motori di ricerca o ai social network occidentali ed è quindi difficile, da qui, capire se la furia virtuale degli instagrammer e degli eserciti che popolano le piattaforme locali durerà. Su Instagram vengono postate, dalla Cina e da altri Paesi dell’area, foto di persone che bruciano capi Dolce&Gabbana o li usano come stracci per fare le pulizie.
Il Paese è già oggi, come per ogni brand del lusso, il primo mercato e in Cina il marchio ha circa 50 negozi. I dati di vendita dei prossimi giorni diranno se c’è stato un effetto negativo, mentre è notizia di poche ore fa che il brand sarebbe stato bandito da tutte le piattaforme di e-commerce cinesi, a partire da JD.com. Ragionamenti generali sulla forza cieca della comunicazione via web a parte, ragionamenti che valgono ovunque, per la Cina dovremmo aggiungere una considerazione: in questo Paese non si vota, i capi delle istituzioni e del governo sono eletti dai membri del partito, il corpo elettorale reale, un miliardo di persone circa, non sa cosa siano le libere elezioni. Che il web si stia sostituendo alle elezioni? I social network sono di fatto l’unica area di «libera» espressione: radio, tv e giornali sono controllati dal governo. Sul China Daily, principale quotidiano in inglese, oggi il titolo è su Xi Jinping che firma accordi con il Brunei e le Filippine e che telefona a Macron per parlare amabilmente di ecologia.
Dell’affaire Dolce&Gabbana non c’è traccia, la cronaca è limitata al minimo, come del resto ogni giorno. Su Jing Daily, testata online dedicata a moda e lusso: oggi non c’è nessun articolo, nella giornata di mercoledì 21 novembre c’era invece una lunga analisi dei video incriminati. Domenico Dolce e Stefano Gabbana a Milano avranno di che tenersi occupati: il 7, 8 e 9 dicembre presentano alta moda, alta sartoria e alta gioielleria a Palazzo Litta. Con che umore lo faranno è difficile prevedere. Tra i clienti di questi abiti da centomila euro in su ci sarebbero stati anche facoltosi cinesi. Vedremo se verranno a Milano e se compreranno.
Nel backstage della sfilata che non c'è stata l’entusiasmo era il solito. «A volte siamo tentati di non rilasciare più interviste, per noi parlano le nostre collezioni, gli show, gli eventi che organizziamo in giro per il mondo e in primis a Milano», avevano detto Domenico Dolce e Stefano Gabbana martedì . «Con le persone che vanno nei negozi, diretti e non solo, con quelle che comprano online, con quelle che vengono in atelier o che andiamo a trovare per il su misura; con le celeb che vestiamo, con le modelle e modelli, professionisti e non, che scegliamo per le sfilate… Vale per tutti una cosa: stabiliamo un contatto grazie alla moda. Non ci possono essere malintesi» (parole pronunciate 24 ore prima della cancellazione della sfilata che suonano tetramente profetiche, ndr).
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