NEW YORK - Alla fine di un incontro drammatico alle Nazioni Unite l'Italia, l'Egitto, la Giordania e il governo della Libia hanno chiesto al consiglio di sicurezza di revocare l'embargo sulla vendita di armi al governo libico di modo che il paese possa difendersi dalle intrusioni di fanatici religiosi che puntano alla destabilizzazione del paese e all'estensione del “Califfato” alle porte di Roma.
La seduta è stata drammatica per il senso di “urgenza”, come ha detto il nostro rappresentante permanente alle Nazioni Unite, l'Ambasciatore Sebastiano Cardi, con cui «la comunità internazionale e i principali interessati dovranno stabilizzare la situazione in Libia... L'Italia – ha detto Cardi – è pronta a contribuire a un monitoraggio del cessate il fuoco e a lavorare in missioni di addestramento per integrare l'esercito dei miliziani con l'esercito regolare», una missione italiana pronta all'azione dunque purché l'Onu autorizzi l'operazione volta alla riunificazione delle due fazioni in cui si è spaccata la Libia. Solo questo percorso di riunificazione consentirà di combattere l'Isis e i jihadisti, il nemico comune che sta cercando di impossessarsi di centri nevralgici del Paese.
Ma al Palazzo di Vetro, in una New York ancora fredda e coperta di neve, ci sono stati altri momenti drammatici quando il ministro degli Esteri egiziano Samet Shukri ha rievocato con commozione e rabbia l'efferratezza con cui i jihadisti dell'Isis hanno decapitato i 21 cristiani copti egiziani. Shukri ha descritto la ferita che si è aperta nel suo paese e ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di passare all'azione. Sia lui che il ministro degli Esteri libico Mohamed Elhadi Dayr hanno aggiunto le loro voci per chiedere la revoca dell'embargo alla Libia.
Il Consiglio ha ascoltato queste testimonianze e quella dell'alto commissario per i diritti umani, l'ambasciatore Zeid Raad che ha parlato di “genocidio” descrivendo l'atto barbarico compiuto contro i 21 prigionieri egiziani inermi come un vile attacco religioso per provocare ulteriori tensioni e alzare il tiro della provocazione. Raad, da appena pochi mesi nel suo nuovo incarico, sta emergendo come uno dei punti di riferimento chiave per la difesa e la tutela di diritti umani in zone a rischio nel mondo. La sua autorevolezza è accresciuta dal fatto di aver passato molti anni proprio al Palazzo di Vetro come ambasciatore della Giordania e di essere un cugino e intimo fiduciario di Re Abdullah di Giordania. Proprio il nuovo ambasciatore giordano ha presentato formalmente una proposta di risoluzione per togliere l'embargo alla Libia.
Poco prima, sempre nella serata di ieri, era intervenuto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama: ha dato uno spaccato di quello che sarà il suo intervento di oggi alla conferenza sul terrorismo a Washington:«Non esiste un “conflitto di civilizzazioni” -ha detto Obama - L'occidente non è in guerra con l'Islam. Quella del terrorismo di al Qaida e dell'Isis è una sfida per il mondo intero, non solo per l'America. Bisogna lavorare insieme ai nostri alleati. Ci vorrà tempo, ma li sconfiggeremo». Obama ha poi rivolto un appello a tutti i leader musulmani nel mondo: «Nessuna religione è responsabile per il terrorismo». «La violenza contro innocenti non difende l'Islam, ma danneggia l'Islam e i musulmani. Schieratevi nella lotta contro gli estremisti».
È questo forse il punto più interessante del discorso di Obama, la richiesta ai popoli del mondo arabo di schierarsi in modo attivo contro queste minoranze di fanatici estremisti che stanno danneggiando la loro reputazione. Obama ha anche fatto una riflessione su come nel medio termine si potrà cercare di contrastare la propaganda che cerca di conquistare «le menti di giovani spesso emarginati, spesso insoddisfatti non solo all'interno del mondo arabo in molte metropoli occidentali...dobbiamo contrastare questo messaggio distruttivo su Internet e con azioni inclusive». Una retorica questa che ha dominato i lavori a Washington ma che, paradossalmente, appare datata davanti alla rapidità con cui l'Isis si allarga sia geograficamente che dal punto di vista dell'influenza politica e religiosa.
Per questo oggi la vera partita torna ad essere quella che si gioca alle Nazioni Unite, al Palazzo di Vetro, al Consiglio di Sicurezza, che dovrà intervenire al più presto per dare da una parte alla Libia la possibilità di difendersi e dall'altra dare quel contesto di legittimità internazionale alla missione di una coalizione volta a contenere le barbariche decapitazione e le efferratezze del movimento jihadista. E in questo contesto l'appello italiano di Cardi, con la chiara richiesta di un mandato e di una missione internazionale per intervenire prima “che sia troppo tardi” diventa la prima tappa di un percorso che segnerà se il consiglio deciderà di procedere in questa direzione, una partecipazione diretta dei nostri militari sul campo.
© Riproduzione riservata