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L’Fmi studia un nuovo piano per rimettere Atene in carreggiata

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le trattative in corso

L’Fmi studia un nuovo piano per rimettere Atene in carreggiata

NEW YORK – Grexit Redux: rimettere Atene in carreggiata, tenerla nell'eurozona e aiutarla a cercare un percorso di crescita è da oggi la nuova parola d'ordine al Fondo Monetario Internazionale dopo il default di ieri della Grecia su un rimborso di 1,5 miliardi di euro (1,2 miliardi di SDR). A una condizione: che al referendum di domenica i greci scelgano davvero l'Europa.

Una “carota” non da poco: proprio quando Christine Lagarde userà il “bastone” comunicando ufficialmente l'”arretrato” greco ai direttori esecutivi che formano il suo consiglio di amministrazione e che rappresentano il mondo intero, il suo staff sarà già al lavoro per la formulazione di una via d'uscita, di nuova strategia, che prevede un prolungamento delle scadenze in base a un meccanismo previsto da un oscuro articolo, il 5.7.G che non veniva invocato dagli anni '80. Un sollievo non da poco, anche per i mercati, perche' se approvato da una maggioranza semplice del Consiglio il Fondo, il meccanismo potrebbe posticipare la scadenza di ieri per il rimborso di 1,5 miliardi di euro (1,2 miliardi di SDR) fino a un periodo massimo di cinque anni. La premessa come si è detto poco sopra è che il referendum di domenica mostri che il popolo greco sceglie l'Europa e riforme francamente non impossibili invece di un inesorabile smottamento verso le regioni meridionali del Mediterraneo e dell'Est del continente europeo, cioè verso Mosca.

Ma andiamo per ordine. Il direttore dell'Fmi Christine Lagarde ha convocato per le 9,30 di questa mattina a Washington ( le 15.30 ora italiana) il consiglio dei direttori esecutivi per annunciare formalmente che la Grecia è dalle 6 del pomeriggio di ieri in “arrears” cioè in arretrato, cioè in “default”. La differenza non è solo semantica, “default” implica un senso di irreparabile, “arretrato” implica una temporaneita' della violazione delle regole del Fondo: una differenza chiave perché, pur sotto vigilanza speciale, il paese in difetto avrà sempre tempo per pagare e rimettersi in ordine. Ci saranno implicazioni legali dirà la Lagarde, ad esempio fino a quando non sarà rimborsata la tranche dovuta la Grecia non potrà più partecipare ai programmi del Fondo, diventerà un paria per la comunità internazionale come è ora lo Zimbabwe, l'unico paese membro che dal lontano 2001 non paga un debito di 101 milioni di dollari. Nulla rispetto all'esposizione greca che oscilla complessivamente, a seconda dei periodi presi in considerazione fra i 20 e i 35 miliardi di dollari. Senza contare che al miliardo e mezzo di euro di “arretrato” di ieri si aggiungeranno già alla fine di agosto altri 5 miliardi di euro sempre per il Fondo e 7 miliardi di euro per la Banca Centrale Europea, 13,5 miliardi di euro che la Grecia non ha. Ci sono varie ipotesi allo studio, ad esempio, sempre che al referendum passi il si all'Europa, la BCE di Mario Draghi potrebbe trasferire ad Atene i suoi profitti, pari grosso modo all'ammontare che la Grecia deve al Fondo. Con quei danari il governo Tsipras ripegherà il Fondo e potrà ripartire con un piano di ristrutturazione. Ma questo implica una partita di giro e comunque un impegno di liquidità oggi preziosissima. Ecco dunque il “Grexit Redux”. La Lagarde dirà ai suoi consiglieri esecutivi di aver ricevuto insieme alla notifica del mancato pagamento una nota delle autorità greche che chiedono al Fondo un'estensione delle scadenze dovute ieri e dirà che questo appello sarà presentato al consiglio del Fondo perché valuti la richiesta quando i tempi lo consentiranno. Quali saranno questi tempi? Non lunghi. Se vincerà il sì domenica, forse già la settimana prossima, giusto il tempo per studiare la richiesta, la storia del meccanismo, applicato rarissimamente, all'inizio degli anni 80 per la Guyana e nel 1987 per il Nicaragua poi in nome del rigore e della trasparenza il meccanismo fu di fatto sospeso.

Se la sua richiesta fosse approvata ( e qui Atene dimostra di conoscere a fondo i meandri giuridici dell'Fmi), la Grecia smetterebbe di essere in “arrears”. Ipotesi molto probabile e relativamente facile: l'articolo 5.7.G consente al board di posticipare i pagamenti dovuti fino a un massimo di cinque anni con una maggioranza semplice, di fatto disponibile già a livello di G10 ( ed escludendo gli emergenti) mentre per un periodo piu' lungo ci vorra' una maggioranza del 70%.

Non c'e dubbio che dietro questi recenti sviluppi per restituire uno spiraglio alla Grecia c'e' l'influenza americana. Da domenica, da quando gli europei traditi da Tsipras dicevano senza mezzi termini di essere pronti a lasciare la Grecia al suo destino, la posizione di Bruxelles e delle principali capitali europee è gradualmente cambiata. Ora si allinea anche quella del Fondo nonostante il mancato pagamento. E proprio ieri Barack Obama nella conferenza stampa congiunta con il Presidente brasiliano Dilma Rouseuf alla Casa Bianca, ha dato un messaggio inequivocabile: “La Grecia è un preoccupazione considerevole per l'Europa, Atene ha bisogno di una crescita economica, rimanendo nell'Eurozona”. Anche per l'America è importante che passi il referndum per l'Europa che passi il si. SU queste pagine abbiam scritto un paio di giorni fa che l'America avrebbe usato tutta la sua influenza per favorire un si al referndum. Ora la “campagna” euro americana ha preso forma affiancando allo spettro dell'uscita dall'euro di Atene un caleidoscopio di possibilità, di premi di incoraggiamenti. Il caveat è che al riscatto della Grecia dei benpensanti corrisponda la punizione per l'ideologo populista e spavaldo Tsipras, se con le perdita del referendum fosse costretto alle dimissioni, per l'Europa – e per il Fondo – ci sarebbe l'”en plein”.

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