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Caso Regeni, vietato chiedere la verità a un regime autoritario

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EGITTO

Caso Regeni, vietato chiedere la verità a un regime autoritario

Abbiamo «infastidito» il ministro degli Interni Magdi Abdel Ghaffar. Tutti: il ministro degli Esteri Gentiloni, della Difesa Pinotti, della Giustizia Orlando, i giornali, l'opinione pubblica, insomma coloro che hanno «insinuato» responsabilità del regime egiziano nella morte di Giulio Regeni. Cioè tutto il Paese. È così che fanno le dittature poliziesche: inventano la Verità e tracciano la linea oltre la quale ci sono solo i mentitori, i sobillatori, i terroristi e ora anche gli italiani.

La settimana scorsa, quando il Sole 24 Ore chiedeva una modica quantità di giustizia, intendeva una soluzione pragmatica: l'arresto, almeno il licenziamento di due funzionari. Qualcun altro aveva parlato con comprensione di «servizi deviati», quando invece di deviato c'è un sistema intero. Tutti sapevamo che gli egiziani la verità non ce l'avrebbero mai raccontata. Ma almeno un po’ di finzione, le scuse per un deplorevole eccesso di zelo. Niente, nemmeno una verità accondiscendente e finta.

Esiste solo la verità del regime, il moloch che non deve rendere conto a nessuno. «Non possiamo neppure accettare un'allusione, non è questa l'usanza degli apparati di sicurezza dello Stato». Un taxi che va in panne in mezzo al deserto, i passeggeri che scendono e, guarda un po’, un cadavere. La conferenza del ministro degli Interni, ieri al Cairo, non è stata surreale ma la rappresentazione cronachistica del potere oggi in Egitto, arrogante e intoccabile. Nel tentativo di avere giustizia, rispettando le difficoltà egiziane, anche Matteo Renzi aveva evitato dichiarazioni forti e con pragmatismo aveva telefonato al presidente al Sisi. Le dichiarazioni sfrontate di Abdel Ghaffar sono il risultato. E adesso?

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