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Hillary e Trump vincitori attesi del supermartedì

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Hillary e Trump vincitori attesi del supermartedì

NEW YORK - Siamo davvero alla svolta? All'inevitabile conferma che il bulletto Donald Trump sara' il candidato Repubblicano per la Casa Bianca del 2016? Giunti ormai al super Tuesday, il super Martedi', con elezioni simultanee oggi in 11 stati americani fra i repubblicani e in 12 stati per i democratici, si parla molto piu' di Donald che di Hillary Clinton.

A meno di una (improbabile) incriminazione dell'FBI per lo scandalo sulle email top secret inviate da un server privato, la ex First Lady sembra avere a questo punto la strada spianata per conquistare la nomination contro Bernie Sanders. Ma per Trump oggi, prima dell'esito del super Martedi', ci sono ancora delle possibilita' di fermarlo, la parola spetta ovviamente agli elettori, che sembrano iptonizzati dal metodo Trump. Dopo, se andra' come ci dicono i sondaggi, le probabilita' di contenere Trump crollano a meno di uno scandalo devastante. E anche in quel caso e' lecito esprimere dubbi: finora ogni rivelazione imbarazzante, invece di danneggiarlo lo ha sempre aiutato. La risposta all'interrogativo di fondo, “ce la fara”' e' e' dunque in larga misura affermativa.
Per questo il partito repubblicano appare trafitto da un senso di orrore, con l'establishment, vecchi senatori, presidenti di commissioni, governatori, sindaci, schierato contro questo candidato aggressivo, maleducato, narcisista, isolazionista, a seconda delle definizioni dei suoi compagni di corsa, che tutto rappresenta tranne lo spirito tradizionale del Grand Old Party.

Il primo ad essere molto irritato e' Paul Ryan, il Presidente della Camera che fu compagno di corsa di Mitt Romney per la vicepresidenza repubblicana nel 2012. Ryan forse oggi rimpiange di non essere sceso in campo, ma avendo scelto appena pochi mesi fa di riunire un partito diviso dopo le dimissioni forzate di John Boenher, non poteva entrare in tempi cosi rapidi nella mischia presidenziale. Nel suo ruolo pero' aveva gia' messo a punto un'articolate piattaforma su tasse, immigrazione, riforma sanitaria etc. da condividere con il candidato designato del partito. Il problema e' semplice se Trum sara' davvero il candidato finale, non l'approvera', creando cosi' una possibile spaccatura fra la sua ipotetica Casa Bianca repubblicana e il Congresso repubblicano.

I vecchi del partito hanno percio' cercato in molti modi di dirottate la candidatura del magnate immobiliare. Il problema e' che ogni tentativo di fermarlo e' fallito. Abbiamo saputo di riunioni segrete per mettere a punto un piano d'azione, di altri progetti per scatenare con un SuperPac una aggressiva campagna televisiva denigratoria, di denunce sulle molte contraddizioni e volatlilita' del suo carattere. E il materiale non manca: Trump avrebbe mentito sul reale valore del suo patrimonio; Si trova coinvolto in una causa con decine di persone e con lo stato di New York per aver creato un'universita' fasulla che prometteva ricchezza alla fine dei corsi che divulgavano e insegnavano i segretti da re Mida di Trump. Corsi carissimi, che costavano fino a 35.000 dollari promettendo di riguadagnare il danaro in pochi mesi lavorando appena sei sette ore alla settimana. Il classico bidone, insomma. E molti che faticavano ad arrivare alla fine del mese sono caduti nella rete indebitandosi. Trump avrebbe anche partecipato a discutibili festini in compagnia di Jeffrey Esptein, condannato tempo fa da un tribunale in Florida per aver fatto sesso con minorenni. Ha dimostrato nei dibattiti, di non sapere nulla dal punto di vista tecnico: quando si discute del suo programma, diciamo quello economico, non da dettagli, dice solo: “ il mio piano fara' l'America grande”. E la gente applaude. Ha persino citato Benito Mussolini dicendo che la sua massima “meglio un giorno da leone che cento anni da pecora” e' interessante e condivisibile al di la' della provenienza.

Ma tutto, davvero tutto, per ora scivola via. Il suo status di celebrita' televisiva prevale su qualunque aspetto negativo della sua personalita', del suo modo di fare affari o della sua piattaforma politica. Fatto questo che aggiunge confusione al nostro modello di democrazia in un contesto mediatico che attraverso Internet premia inevitabilmente il populismo e la superficialita'. Cosi', se questa notte Trump dovesse affermarsi come sembra, la corsa per gli altri, peraltro divisi fra loro, si fara' piu' difficile.
Quello di oggi infatti e' l'evento elettorale piu' complesso per i candidati di ambo i partiti. 11 stati in contemporanea per i repubblicani con 580 delegati in palio e 12 stati per i democratici con oltre 1.200 delegati in palio. Dall'Oklahoma, al Massachussets al Texas, Hillary e' in vantaggio dappertutto. Trump perde solo in Texas contro Ted Cruz, il senatore dello stato, che gioca in casa. L'appuntamento di oggi, introdotto nel 1988 per fare da contrappeso all'Iowa, serve a collaudare la tenuta organizzativa e il respiro in termini di gradimento dei candidati rimasti dopo le prime selezioni in Iowa appunto, New Hampshire, Nevada e South Carolina, stati che rappresentano ciascuno una delle grandi aree geografiche americane. E Trump, che pure non ha molta organizzazione, non ha adesioni importanti a suo favore, a parte quella di Chris Christie e del governatore del Maine, sembra pronto a incassare la palma della vittoria. Cosa che confermera' quel che gia' si sospettava. Nel 2016 essere una “celebrity” e' quello che conta. Grattare dietro la superficie, interessa poco. Nelle difficolta' del nostro tempo e' molto meglio scegliere un sogno per il successo che la realta' di aver a che fare con un imbonitore.

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