Il partito Repubblicano è sempre più spaccato su Donald Trump. Il capogruppo alla Camera Paul Ryan, la più alta carica nel Gop, ha detto che non è ancora pronto ad appoggiarlo alla convention di Cleveland. Un definitivo «no» al miliardario è stato invece scandito dai due ex sfidanti di Barack Obama, John McCain e Mitt Romney, che imiteranno i Bush Sr. e Jr. disertando l’incontro. Intanto il candidato inevitabile del Grand Old Party annnucia che se sarà presidente sostituirà Janet Yellen alla guida della Fed.
L’uscita di Ryan, per quanto lasci aperto uno spiraglio a Trump, è una netta giravolta rispetto alle dichiarazioni ripetute durante le primarie di essere pronto a sostenere qualunque candidato fosse stato scelto dalla base. Giovedì sera, invece, il capogruppo del partito ha messo condizioni. «I Repubblicani vogliono vedere se il loro “ portabandiera” condivide i loro valori e principi». Forse in futuro, ha concluso Ryan, «potremo lavorare insieme per capire cosa sia meglio per il popolo americano».
Mentre si fa lungo l’elenco dei rifiuti a partecipare, emergono i primi tentennamenti. Il presidente del Comitato nazionale repubblicano - responsabile della strategia elettorale - ha chiesto al partito di fare quadrato intorno al probabile candidato. E ha detto di voler organizzare un incontro tra Ryan e Trump. Rick Perry è andato oltre annunciando non solo di sostenerlo ma di essere pronto ad affiancarlo nella corsa come suo vice.
Il magnate americano, dal canto suo, non fa passare giorno senza rilasciare un’intervista che mette nuova carne al fuoco o ribalta posizioni precedenti, dispensando brandelli di programma di governo via etere. Così giovedì sera a Cnbc, canale finanziario americano, ha detto che se sarà eletto forse cambierà il governatore della Fed alla scandenza di febbraio 2018. E non tanto perché non apprezzi la sua politica monetaria, anzi. Trump ha dichiarato di essere d’accordo con la politica dei tassi bassi come antidoto a rialzi del dollaro che danneggerebbero la competitività americana a favore della Cina. Però Yellen «non è repubblicana» e dunque, ha concluso, «penso sarebbe opportuno sostituirla».
I tassi di interesse, l’immigrazione. Il ciclone Donald ha avuto modo, sempre giovedì, di fare una bella piroetta per iniziare la conquista (improbabile) di un’importante componente dell’elettorato: gli ispanici. Così il 5 maggio, festa dell’orgoglio messicano, ha twittato una foto mentre mangia un piatto di taco bolws nel ristorante del suo grattacielo a New York: «Happy Cinco de Mayo! I migliori taco bowls sono al ristorante della Trump Tower, amo gli ispanici!». È passato meno di un anno da quando annunciando la sua candidatura proprio dal palazzo di Manhattan li aveva accusati di essere «criminali» e messo nel programma un giro di vite contro l’immigrazione illegale con la deportazione di 12 milioni di irregolari e la costruzione di un muro lungo tutto il confine.
Ma nel 2012 l’elettorato ispanico fu determinante alla vittoria di Barack Obama. Per questo motivo il Gop puntava a riprenderselo con atteggiamenti più morbidi sull’immigrazione; per questo il senatore McCain, alla rielezione in Arizona, Stato con una forte popolazione ispanica, ha preso le distanze da Trump. Per questo motivo giovedì sera Hillary Clinton a un comizio in California non ha usato mezzi termini parlando a una platea prevalentemente ispanica: «Donald Trump vuole creare unità di deportazione per radunare milioni di persone. Il modo migliore per scongiurare che ciò accada è assicurarsi che non si avvicini mai alla Casa Bianca».
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