Il fenomeno dell’euroscetticismo esiste da tempo, per molti versi fin dall’inizio del XX secolo, quando gli studiosi preferivano parlare più comunemente di antieuropeismo. Il termine euroscetticismo appare tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 nella stampa inglese. Per almeno tre decenni si è riferito a una parte marginale delle società nazionali. Più presente in Gran Bretagna, che in altri paesi europei. Oggi l’euroscetticismo ha assunto un peso assai maggiore. Sta avvelenando il clima politico in quasi tutti paesi europei, fino a mettere a rischio per la prima volta in 60 anni il futuro stesso dell’Unione europea.
In Olanda, la popolazione ha bocciato un accordo di associazione tra l’Unione e l’Ucraina. In Germania, elezioni regionali hanno mostrato il successo di un partito nazionalista di destra, Alternative für Deutschland. Oggi l’Austria dovrà decidere se eleggere alla guida del paese un presidente della destra radicale. In giugno, gli inglesi saranno chiamati alle urne per sancire il futuro del paese nell'Unione, mentre gli spagnoli torneranno alle urne per la seconda volta in sei mesi nel disperato tentativo di darsi un governo. A Parigi nel 2017 il Fronte Nazionale di Marine Le Pen tenterà la scalata all'Eliseo.
La ricerca della Fondazione David Hume, effettuata per Il Sole 24 Ore, giunge quindi in un periodo di elezioni dai risultati incertissimi. Chi sono gli euroscettici? Quale immagine hanno le principali istituzioni comunitarie nella società europea? E come sta evolvendo la partecipazione al voto nel rinnovo del Parlamento europeo? Tracciando il «profilo di una Unione alquanto disunita», il dossier offre un approfondito quadro di riflessione: «La gestione della questione sicurezza (…) e quella dell’economia saranno con ogni probabilità i punti chiave su cui si giocherà la ripresa di attaccamento e fiducia dei cittadini all'Unione»,
In molti paesi gioca il timore che l’Europa non sia in grado di fronteggiare, o sia la causa, la crisi economica e l’emergenza sicurezza. Ma come non pensare che in Francia, in Italia o in Grecia non sia anche segnato dall’angoscia di dover rimettere in discussione un assetto della società caratterizzato a seconda del paese da protezionismo, clientelismo e familismo? E come non pensare che in Germania sia dettato anche dal fatto che l’Europa sta mettendo in dubbio i principi di Maastricht: la non monetizzazione del debito da parte della Banca centrale europea e il non salvataggio sovrano da parte dei partner?
Secondo la ricerca della Fondazione Hume, gli euroscettici di destra rappresentano nel Parlamento europeo il 22,2% dei seggi (rispetto al 14,7% nel 1979). Viceversa, gli euroscettici di sinistra sono il 7,2% dei deputati rispetto all’11,1% del 1979. Nel contempo, l’assemblea di Strasburgo ha registrato uno spostamento a destra dell’intero emiciclo. Ancora nel 2014, il Partito popolare europeo (Ppe) si è rivelato il movimento più importante, anche se ha bisogno di una grande coalizione con i socialisti per governare. Perché? Giocano l’arrivo dei nuovi paesi membri, la paura di attentati dal 2001 in poi, la crisi economica scoppiata nel 2007-2008. L’euroscetticismo si riflette in particolare nella bassa partecipazione al voto in occasione del rinnovo del Parlamento europeo.
«I tassi di partecipazione elettorale piuttosto contenuti dei nuovi membri - si rileva nel dossier - sembrano rivelare che per una buona parte di questi cittadini l’elezione del Parlamento europeo non sia esattamente vissuta come un’opportunità rilevante per il proprio destino». Emerge una maggiore partecipazione al voto nel Sud piuttosto che nel Nord, e al crescere del benessere economico. Ciò detto, la partecipazione al voto non riflette la soddisfazione per la propria vita: proprio i paesi mediterranei sono quelli dove l’insoddisfazione è drammaticamente più elevata. In Italia quasi il 40% dei cittadini si dichiara insoddisfatto.
In questo contesto, la Fondazione Hume non può che notare l’immagine negativa dell’Unione. Su una scala da 1 a 5, tra il 2004 e il 2015, l’immagine è calata in 19 paesi su 28. La diminuzione più brusca è avvenuta in Grecia, oggetto di tre programmi di aggiustamento economico pur di evitare il fallimento. Ma cali vi sono stati anche in Francia, in Germania e in Italia. La stessa identificazione con l’Europa è ambigua. I cittadini europei si sentono comunque prima di tutto francesi, italiani, tedeschi, anche lussemburghesi o maltesi, e poi nel caso anche cittadini europei. In Italia, il 36,1 degli interpellati si considera solo italiano, il 57,4% si ritiene italiano ed europeo, il 5% europeo ed italiano, l'1,5% solo europeo.
Il problema dell’identificazione con l’Europa si riflette in una preoccupante sfiducia nelle istituzioni più federali dell’Unione. Solo il 51% degli interpellati si fida del Parlamento europeo e solo il 43% si fida della Banca centrale europea. In fin dei conti, se oggi l’immagine dell’Europa soffre è anche perché l’Unione è in bilico tra federalismo e confederalismo. Le soluzioni che offre sono quasi sempre incomprensibili compromessi istituzionali. Riferendosi alla Francia, Charles de Gaulle diceva che «è impossibile governare un paese che produce 365 varietà di formaggi». Nello stesso modo, si potrebbe dire che è (ormai) impossibile governare una Unione che conta 28 governi nazionali.
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