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Email gate

Email gate, Hillary salva dall'incriminazione ma non dall'accusa di imprudenza

NEW YORK - È vero, Hillary Clinton è “salva”, nel senso che la mancata incriminazione da parte dell'FBI le consente di restare in corsa per la Casa Bianca. Ma non c'è dubbio che le dichiarazioni di James Comey, il Direttore dell'FBI saranno usate in campagna da Donald Trump per minare alla base la credibilità di un candidato democratico che aveva impostato tutta la sua campagna sull'esperienza e sulla credibilità. Infatti, anche se ha evitato l'incriminazione, Hillary ha ricevuto il marchio di essere stata “ estremamente imprudente”, quando era al dipartimento di Stato, nella gestione delle sue email attraverso un server privato.

L'imprudenza non è certo un connotato che si cerca in una persona che deve guidare la più grande potenza del mondo. Fino a ieri l'imprudenza, l'improvvisazione appartenevano soltanto a Donald Trump. Hillary aveva sfruttato fino in fondo questo svantaggio definendo Trump non solo “imprudente” ma anche “reattivo” e impreparato”. Da oggi Trump potrà usare questi termini contro Hillary attribuendoli nientemeno che ai risultati di un'inchiesta dell'FBI. Tuttavia, almeno finora, Trump l'incontenibile ha scelto ieri una strada diversa, ha accusato l'FBI di collusione, cosa alla quale non crede nessuno: “C'e' qualcosa di strano in questa sentenza” ha scritto in un tweet.
Tutto questo succedeva quando Hillary lanciava la sua prima apparizione elettorale con Barack Obama che le ha dato ieri il suo appoggio formale. Possibile che l'FBI abbia scelto il momento della dichiarazione per rovinare la festa della signora? Tutto è possibile ma è improbabile. Di fatto però la “svolta” elettorale di Hillary è stata messa in ombra dai risultati dell'inchiesta FBI che portano comunque danno per le bacchettate collaterali all'assoluzione giuridica. Ad esempio a un certo punto Comey ha parlato di violazioni statutarie delle norme che regolano la gestione delle informazioni riservate. Di nuovo, non abbastanza per incriminare, ma quanto basta per riportare quell'alone di sospetto attorno al modus operandi dei Clinton, da sempre, fin dallo scandalo Whitewater, parte integrante del dibattito attorno alla trasparenza non solo di Hillary ma anche di Bill.

È stato il New York Times, giornale di sinistra, che per primo ha dato la notizia dell'emailgate oltre un anno fa, a fornire a Trump il tracciato per indebolire Hillary e rafforzare se stesso. In due articoli diversi ha prima analizzato il potenziale elettorale negativo delle dichiarazioni di Comey per Hillary; nel secondo ha messo a nudo tutte le contraddizioni fra le asserzioni della Clinton e quelle dei documenti dell'FBI. La più grave: Hillary ha sempre affermato di non aver mai inviato materiale top secret nelle email mentre l'FBI rileva almeno otto catene di email top secret e molte altre secretate o di altissima confidenzialità. In tutto stiamo parlando di circa duemila email su 30mila che non avrebbero dovuto essere inviate dalla Clinton.

La fortuna per Hillary è che Trump non è a sua volta al di sopra di ogni sospetto. C'è da chiedersi quanto questa vicenda delle conclusioni sull'emailgate diventerà presto “old news”, “roba vecchia”, superata dalle convention e dalle altre dinamiche elettorali.
Di certo per gli americani non è rassicurante che la scelta, fra i due candidati per la Casa Bianca, sia fra un repubblicano che dimostra nei fatti di essere imprudente e una democratica che nega di esserlo e di avere anzi tutta l'esperienza necessaria per guidare il Paese, per essere poi smentita dall'FBI.

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