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Mattone inglese in crisi, domino globale in agguato

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L'Analisi|lo scenario

Mattone inglese in crisi, domino globale in agguato

Una bolla del mattone che scoppia, famiglie iper-indebitate dopo anni di mutui facili, fondi immobiliari costretti a congelare le quote e banche in picchiata in Borsa. Chi credesse di avere tra le mani un giornale dell’estate 2007, quando scoppiò la crisi dei mutui subprime Usa, non guardi il calendario: questo è il 2016. La crisi immobiliare che sta scoppiando in Gran Bretagna è però così simile a quella americana del 2007, da far sorgere un inquietante senso di «deja vu». E soprattutto una domanda: la crisi immobiliare inglese rischia di avere un effetto globale altrettanto forte come in quegli anni accadde con quella Usa dei mutui? È insomma possibile un effetto domino sistemico? Stiamo per rivedere lo stesso film?

La maggior parte degli economisti pensa di no. Perché l’Inghilterra è troppo piccola per avere la stessa forza distruttiva degli Stati Uniti, perché oggi ci sono le banche centrali in azione per spegnere gli incendi, perché oggi il mercato delle cartolarizzazioni non è più “contagioso” come nel 2007. Ma questo, in fondo, consola poco: la maggior parte degli economisti anche nel
2007 pensava che i mutui subprime americani non rappresentassero una minaccia per il resto del mondo. E sbagliavano di grosso. Non si può dunque escludere che sbaglino anche oggi: il contagio, diverso forse nella forma, non è infatti così improbabile come molti pensano. Almeno due sono i possibili canali di propagazione del virus inglese: le banche e l’illiquidità dei mercati obbligazionari.

Analogie e differenze
Guardando quanto sta accadendo oggi in Gran Bretagna sembra davvero di rivedere la crisi americana dei mutui subprime. Anche questa volta c’è un mercato immobiliare cresciuto troppo sia per l’eccessivo debito delle famiglie (oltre il 130% del loro reddito) sia per il forte afflusso di capitali stranieri Oltremanica (dal 2009 il 45% delle compravendite immobiliari in Gran Bretagna è stato effettuato da investitori esteri).

Questa volta, però, la «bolla» è scoppiata per un motivo diverso. Non per il rialzo dei tassi, che nel 2007 mise in difficoltà le famiglie americane e dunque i mutui. Ma per il referendum di Brexit, che ha causato la fuga dalla Gran Bretagna di quegli stessi investitori esteri che prima avevano sostenuto il mercato immobiliare. Così il settore del mattone inizia a scricchiolare e i fondi immobiliari sono bersagliati da richieste di riscatto. Tanto da costringerli a «congelare» le quote. Esattamente come fecero alcuni fondi di Bear Stearns e di Bnp Paribas nel 2007.

Perché stare tranquilli...
Il punto è capire se questa nuova crisi immobiliare, tanto simile a quella americana, colpirà solo la Gran Bretagna (questo è sicuro) o il mondo intero in modo sistemico. A rasserenare gli animi ci sono alcune differenze sostanziali con nove anni fa. La prima è che i principali meccanismi di propagazione della crisi del 2007, cioè le cartolarizzazioni e i derivati, non funzionano più come allora. A quei tempi le banche americane avevano l’abitudine di impacchettare e di reimpacchettare i mutui in obbligazioni (le famose
Abs e Cdo), vendendoli poi in tutto il mondo: questo, quando scoppiò la crisi Usa, sparse il virus dei mutui Usa in tutto il globo.

Oggi questo meccanismo di propagazione non c’è più: di cartolarizzazioni di mutui commerciali inglesi non se ne fanno da anni. E quasi non esistono Cdo sul mercato inglese. Per di più le banche centrali sono oggi ben presenti sul mercato e hanno in mano già tanti strumenti per spegnere eventuali incendi. Per questo, e per tanti altri motivi, gli economisti sono oggi tranquilli: la crisi immobiliare inglese, credono in tanti, resterà inglese.

... e perché preoccuparsi
Se c’è però una cosa che proprio il 2007 ha insegnato è che le crisi non colpiscono mai nello stesso modo. Il fatto che questa volta i meccanismi di contagio di allora siano stati disinnescati, non significa che il mondo sia protetto. Infatti, a ben guardare, esistono almeno due canali di contagio potenzialmente pericolosi.

Il primo è quello delle banche. Quelle inglesi soffriranno non poco per il prevedibile crollo del mercato immobiliare inglese. E dato che tutte le banche europee già soffrono per mille problemi (redditività bassa, crediti in sofferenza, derivati e così via), una eventuale crisi bancaria in Inghilterra difficilmente lascerebbe tutti gli altri indenni. Il contagio, dunque, potrebbe arrivare da qui: da una ulteriore bufera borsistica sulle banche europee, tale da esaperare la loro già conclamata crisi.

Ma c’è un altro canale di possibile contagio, ancora più insidioso: sono i fondi comuni d’investimento mondiali. Sono le stesse Autorità inglesi a indicarlo come rischio sistemico: «Molti fondi hanno ormai comportamenti simili, seguono strategie simili e subiscono impatti analoghi dagli stessi eventi macroeconomici» sostiene David Lawton della Uk Financial Conduct Authority. Morale: tutti questi fondi potrebbero finire in crisi contemporaneamente.

Il problema si potrebbe porre se gli investitori in fuga dai fondi immobiliari inglesi, vedendosi le porte chiuse andassero a “riscuotere” liquidità da altri fondi, di tipologia diversa: se questo accadesse, e se sui fondi comuni arrivasse un’ondata di riscatti per qualunque motivo, anche questi rischierebbero di andare in tilt. Dovrebbero vendere attività sottostanti, ma questo potrebbe diventare molto difficile perché ormai i mercati, soprattutto quelli obbligazionari, sono quasi completamente illiquidi. A causa delle nuove normative internazionali, partorite proprio dopo la crisi del 2007, ormai vendere obbligazioni (soprattutto aziendali) è molto molto difficile. Non è detto che questo accada, ma non è neppure detto che - come sperano tanti economisti - si possa dormire sonni tranquilli. Con mercati finanziari 9 volte più grandi del Pil mondiale, qualche falla può sempre presentarsi.

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