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ok alla ripartizione degli oneri

La Corte Ue boccia il ricorso della Slovenia, il bail-in è legittimo

Le norme del bail-in applicate dalla Commissione Ue nel salvataggio delle banche slovene nel 2003 non violano la regole europee. Così una sentenza della Corte Ue, secondo cui «la ripartizione degli oneri tra azionisti e obbligazionisti subordinati» non viola «il diritto dell'Ue» nel campo «degli aiuti di stato a favore di una banca sottocapitalizzata». La sentenza arriva dopo il ricorso della Corte Costituzionale slovena legato al salvataggio del 2013 che ha comportato l'azzeramento del capitale dei soci e dei titoli subordinati.

Nel 2003 il governo sloveno mise sul piatto 3 miliardi di euro ma chiese agli obbligazionisti subodinati e azionisti di partecipare alle perdite e al salvataggio per 200 milioni in un primo momento e fino a 600 milioni di euro complessivi per tutte le cinque banche coinvolte. Il deficit pubblico salì al 14% del Pil nel 2013 e il governo si vide costretto a coinvolgere azionisti e obbligazinisti subodinati per evitare di dover chiedere un aiuto internazinale alla troika. Successivamente il salvataggio arrivò a 5 miliardi di euro complessivi.

Non viola il diritto dell'Unione la ripartizione degli oneri tra azionisti e creditori subordinati in vista dell'autorizzazione, da parte della Commissione, degli aiuti di Stato a favore di una banca sottocapitalizzata. Così la sentenza della Corte Ue
nella causa C-526/14 Tadej Kotnik e a. / Državni zbor Republike Slovenije. In sostanza i giudici europei hanno dato ragione al governo che aveva di fatto anticipato il bail in nel 2003.

L’intervento della Banca centrale slovena
Ma andiamo con ordine. «In seguito alla crisi finanziaria mondiale iniziata nel 2007, la Banka Slovenije (Banca centrale di Slovenia) ha accertato, nel settembre 2013, che cinque banche slovene erano sottocapitalizzate». Tenuto conto dell'entità di tale carenza, dette banche non disponevano di capitali sufficienti per soddisfare i propri creditori e coprire il valore dei depositi. Il 17 dicembre 2013, la Banca centrale di Slovenia ha introdotto misure straordinarie dirette, rispettivamente, alla ricapitalizzazione, al salvataggio e alla liquidazione di tali banche».

Il 18 dicembre 2013, la Commissione Ue, dopo essere stata informata dalle autorità slovene, ha autorizzato gli aiuti di Stato destinati alle cinque banche interessate. Le misure, adottate ai sensi della legge sul settore bancario, comprendevano la liquidazione del capitale degli azionisti e dei titoli subordinati. I titoli subordinati sono strumenti finanziari che presentano talune caratteristiche dei prodotti obbligazionari e degli strumenti di partecipazione al capitale. In caso d'insolvenza o di liquidazione dell'emittente, i detentori di titoli subordinati sono rimborsati dopo i detentori di obbligazioni ordinarie, ma prima degli azionisti. Questi strumenti finanziari offrono un rendimento più elevato, quale contropartita del rischio finanziario così assunto dai loro detentori.

L’intervento della Corte di giustizia Ue
Adita con numerose domande di legittimità costituzionale della legge sul settore bancario, l'Ustavno sodišče (Corte costituzionale della Slovenia) ha chiesto alla Corte di giustizia Ue di pronunciarsi sulla validità e sull'interpretazione delle disposizioni della comunicazione della Commissione sul settore bancario . La comunicazione è stata adottata per fornire orientamenti sui criteri di compatibilità, con il mercato interno, degli aiuti di Stato accordati al settore finanziario durante la crisi finanziaria.

«Con la sentenza del 19 luglio 2016 , la Corte osserva, per quanto concerne l'effetto vincolante della comunicazione nei confronti degli Stati membri, che la Commissione, nell'esercizio del proprio potere discrezionale, può adottare orientamenti al fine di stabilire i criteri in base ai quali essa intende valutare la compatibilità, con il mercato interno, di misure di aiuto previste dagli Stati membri. Pertanto, adottando siffatte norme di comportamento ed annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in avanti applicate ai casi a cui si riferiscono, la Commissione si autolimita nell'esercizio di detto potere discrezionale, nel senso che, se uno Stato membro le notifica un progetto di aiuto conforme a dette norme, la Commissione deve, in linea di principio, autorizzare il progetto. Peraltro, l'adozione di una comunicazione, come quella sul settore bancario, non dispensa la Commissione dall'obbligo di esaminare le specifiche circostanze eccezionali che uno Stato membro invoca. Al contrario, gli Stati membri conservano la facoltà di notificare alla Commissione progetti di aiuto di Stato che non soddisfano i criteri previsti da detta comunicazione e la Commissione può autorizzare progetti siffatti in circostanze eccezionali. Ne consegue che la comunicazione sul settore bancario non è idonea a creare obblighi autonomi in capo agli Stati membri e non ha pertanto effetti vincolanti nei loro confronti».

Ma veniamo al punto del ricorso dei piccoli riasparmiatori che persero 600milioni di euro nel salvataggio delle cinque banche di cui 200 milioni nella banca di ui al ricorso. «Per quanto concerne la condizione di ripartizione degli oneri tra azionisti e creditori subordinati in vista dell'autorizzazione di un aiuto di Stato da parte della Commissione, la Corte evidenzia che la comunicazione è stata adottata sulla base di una disposizione del Tfue (Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea), secondo cui la Commissione può considerare compatibili con il mercato interno gli aiuti che mirano a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro. Infatti, le misure di ripartizione degli oneri mirano a garantire che, prima della concessione di qualsivoglia aiuto di Stato, le banche in carenza di capitale operino, con i propri investitori, una riduzione del deficit, in particolare attraverso la raccolta di capitale nonché attraverso contributi dei creditori subordinati, essendo tali misure idonee a limitare l'entità dell'aiuto di Stato concesso. Una diversa soluzione rischierebbe di provocare distorsioni della concorrenza, in quanto le banche, i cui azionisti e creditori subordinati non avessero contribuito alla riduzione del deficit di capitale, riceverebbero un aiuto di stato maggiore rispetto a quanto sarebbe stato sufficiente per colmare il residuale deficit di capitale. Peraltro, nell'adottare detta comunicazione, la Commissione non ha sconfinato nell'area delle competenze affidate al Consiglio dell'Unione europea».

I giudici europei spiegano: «Secondo la Corte, la circostanza che, nel corso delle prime fasi della crisi finanziaria internazionale, i creditori subordinati non siano stati invitati a contribuire al salvataggio degli istituti di credito, non consente ai creditori medesimi di avvalersi del principio di tutela del legittimo affidamento. Una simile circostanza non può, difatti, essere considerata come una rassicurazione precisa e incondizionata, tale da far sorgere in capo ad azionisti e creditori subordinati il legittimo affidamento di non essere sottoposti in futuro a misure di ripartizione degli oneri. Peraltro, poiché gli azionisti sono responsabili per le passività della banca fino a concorrenza del capitale sociale della stessa, il fatto che la comunicazione sul settore bancario richieda che, per rimediare alla sottocapitalizzazione di una banca, prima della concessione di un aiuto di Stato, detti azionisti contribuiscano a coprire le perdite subìte della stessa nella medesima misura che si proporrebbe in assenza di un simile aiuto, non si può considerare una compromissione del loro diritto di proprietà».
La Corte rileva, parimenti, che una direttiva dell'Unione prevede, in sostanza, che qualunque aumento o riduzione di capitale delle società per azioni sia sottoposto ad una decisione dell'assemblea dei soci. Secondo la Corte, laddove la comunicazione prevede che talune modifiche del capitale sociale delle banche non debbano essere decise o approvate dall'assemblea, la comunicazione stessa non è incompatibile con detta direttiva. Infatti, sebbene gli Stati membri possano eventualmente essere indotti, in una situazione particolare, ad adottare simili misure di ripartizione degli oneri senza il consenso dell'assemblea dei soci, tale circostanza non può, tuttavia, rimettere in discussione la legittimità della comunicazione. Dette misure possono essere adottate solamente in un contesto di grave turbamento dell'economia di uno Stato membro nonché allo scopo di evitare un rischio sistemico e assicurare la stabilità del sistema finanziario».

«Quanto alle misure di conversione o svalutazione dei titoli subordinati, la Corte ritiene che uno Stato membro non sia obbligato ad imporre alle banche in difficoltà, prima della concessione di qualsivoglia aiuto di Stato, di convertire in capitale i titoli subordinati o di svalutarli, né di impiegare integralmente tali titoli per assorbire le perdite. In siffatti casi, non si potrà tuttavia ritenere che l'aiuto di Stato di cui trattasi sia stato limitato al minimo necessario. Lo Stato membro, come le banche beneficiarie degli aiuti di Stato di cui trattasi, si assume il rischio di vedersi opporre una decisione della Commissione che dichiara l'incompatibilità di tali aiuti con il mercato interno. La Corte aggiunge, tuttavia, che le misure di conversione o svalutazione dei titoli subordinati non devono andare oltre a quanto è necessario per rimediare al deficit di fondi propri della banca interessata».

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