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Missione Bill Clinton, convincere su Hillay e unire il partito

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Missione Bill Clinton, convincere su Hillay e unire il partito

Blill Clinton alla Convention democratica di Filadelfia (Epa)
Blill Clinton alla Convention democratica di Filadelfia (Epa)

FILADELFIA - Bill Clinton è tornato in gioco, è tornato nell'arena politica che ama di più, quella delle convention e del processo elettorale. La domanda è se il vecchio leone, il più grande animale politico che l'America abbia mai avuto da tempi di Ronald Reagan, l'oratore in grado di scatenare la base del partito, come ha fatto quattro anni fa alla convention di Charlotte in North Carolina contribuendo alla rielezione di Barack Obama, riuscirà a raddoppiare aiutando sua moglie Hillary a riunificare il partito anche attorno a loro.

Di certo sappiamo che la battaglia è centrale perché gli americani a casa, gli indipendenti che decideranno queste elezioni, dovranno anche decidere se sono pronti ad avere per la prima volta nella storia un ex presidente alla Casa Bianca. Certo, il presidente non sarà lui, ma Hillary ha già detto che il marito sarà lo zar per lo sviluppo economico. E conoscendolo non possiamo immaginare che il suo ruolo di consigliere della moglie non abbia un ruolo determinante.

Il compito di Bill Clinton è più difficile rispetto a quello di quattro anni fa perché deve giocare la carta della riunificazione parlando allo stesso tempo delle grandi qualità di sua moglie, che rappresenta l'elemento di divisione. A tarda notte quando stava per parlare, la platea dei democratici “Sanderisti” cercava ancora di dare segnali di ribellione, di ostinata resistenza che la comica Sarah Silverman ha definito nella prima serata «ridicola».

E in effetti può sembrare ridicolo che la ribellione continui. Ma continua davvero? Oppure media come il New York Times soffiano sul fuoco dando spazio a quella che è ormai una minoranza nello stesso movimento di Sanders? L'impressione nel Wells Fargo Center è che l'unione sia più forte della divisione. Anche perché qui a Filadelfia la posta in gioco non riguarda solo la presidenza, come ha spiegato Sanders, ma impedire che Donald Trump arrivi alla Casa Bianca. Su questo Bernie Sanders l'altra sera, in un discorso magistrale era stato chiarissimo: «Abbiamo fatto la rivoluzione, continueramo a fare la rivoluzione, ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito, ma oggi dobbiamo votare per Hillary dobbiamo mobilitarci per impedire Trump di nominare i giudici in Corte Suprema».

Non c'è dubbio che la domanda di fondo sia per la convention repubblicana che per quella democratica riguardi la capacità dei due partiti di mostrare un volto unito, di rimarginare le ferite aperte dopo una stagione di primarie cruenta sul piano semantico e spesso offensiva sul piano personale. Sappiamo che Trump, “l'artista del negoziato” non è riuscito a convincere Ted Cruz a votare per lui. E non c'è dubbio che i Sanderisti nella mattinata di lunedì hanno fatto un gran chiasso. Ma poi le cose in casa democratica sono cambiate.

Nel primo giorno, lunedì, al Wells Fargo Center, i democratici hanno fatto un ottimo lavoro per chiudere le polemiche fra destra sinistra, con gli interventi di Corey Booker, popolarissimo senatore del New Jersey, Elizabeth Warren, senatrice del Massachussets nemica delle ingerenze del mondo della finanza nell'economia, e naturalmente Bernie Sanders, il vero leader della nuova sinistra socialista del partito, che riflette in parte l'anima del movimento Occupy Wall Street. Possibile che alcuni di loro riescano, come i teapartisti in casa repubblicana, ad arrivare in Parlamento? Tutto è possibile, ma per ora non è nelle carte.

E anche se la protesta era forte nelle prime ore della convention, occorre dire che la serata lunedì si è chiusa sotto il segno di un'unità molto più evidente, anche grazie all'intervento entusiasmante di Michelle Obama, fortissimo, politico, intelligente e commovente allo stesso tempo: «Hillary deve essere il prossimo presidente - ha detto Michelle -. La mia stessa storia dice quanto grande (attaccando Trump che promette «great again») sia l'America, le mie bambine afroamericane vivono e giocano con il loro cane nei prati di una casa costruita da schiavi. E avranno l'orgoglio di vedere che per la prima volta ci sarà Hillary Clinton, una donna alla Casa Bianca».

Il tono, di lunedì e di ieri, è sull'ottimismo di Hillary, contro il pessimismo di Trump. E nonostante le polemiche del New York Times, il movimento è verso la riunificazione. Da domani, partendo dalla sinistra del primo giorno e dal racial divide di oggi, con gli interventi di Mike Bloomberg, vero uomo d'affari che contesta gli “affari” di Trump, di Tim Kaine, scelto da Hillary come compagno di corsa per la vicepresidenza e infine di Barack Obama, si comincerà la virata verso il centro, dove si vincono le elezioni, con buona pace dei sanderisti.

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