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La Turchia allontana l’Isis dai suoi confini e tiene i curdi sotto scacco

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tra Azaz e Jarabulus

La Turchia allontana l’Isis dai suoi confini e tiene i curdi sotto scacco

Foto Afp
Foto Afp

Poteva accadere prima, parecchio tempo prima. Se solo il Governo turco lo avesse realmente voluto. Ma da ieri lo Stato Islamico è ufficialmente scomparso dalla lunga frontiera con la Turchia. Con un trionfante annuncio in televisione il premier turco Binali Yildirim ha annunciato ieri la liberazione dell'ultimo tratto di confine controllato dai miliziani dell'Isis. “Grazie a Dio, da oggi, il nostro confine da Azaz a Jarabulus è stato completamente messo in sicurezza”.
L'esito dell'operazione è stato confermato anche dall'Osservatorio siriano per i diritti umani, basato a Londra: “I ribelli e le fazioni islamiche appoggiati dai carri armati e dall'aviazione turca hanno preso diversi villaggi sul confine con la Turchia” “La presenza dell'Isis sul confine è finita”.

L'Operazione era iniziata lo scorso 23 agosto. Ankara non aveva esitato ad inviare anche i carri armati per assicurarsi il successo dell'operazione.
A questo punto il pseudo stato del Califfato, autoproclamatosi nel giugno del 2014, si trova orfano della sua frontiera strategicamente più importante, quella con la Turchia, attraverso la quale, per quasi due anni, ha fatto transitare migliaia di foreign fighters, armi oltre a migliaia di autocisterne piene del petrolio estratto In Siria e in Iraq.

In difficoltà sul fronte militare e finanziario, l'Isis sta reagendo con una serie di attacchi e attentati in varie città. E le violente esplosioni avvenute stamattina in diverse regioni siriane controllate dalle forze governative (tra cui Damasco e Homs) potrebbero anche – o in parte - essere opera sua. Due ordigni sarebbero esplosi a Tartus, vicino alla base militare russa.

L’attacco rinviato in chiave anti-curda
In verità già da parecchi mesi nelle mani dello Stato islamico si trovava solo una piccola porzione di confine con la Turchia; per la precisione una striscia di terra arida lunga appena 93 chilometri, il cosiddetto cantone di Afrin. Perché Ankara ha atteso così tanto? Quando le milizie curdo siriane dello Ypg (unità di protezione popolare) nel giugno 2015 hanno sottratto al controllo dell'Isis le città frontaliere di Tall Abyad stavano per portare a compimento quello che per Ankara era il peggiore degli scenari; lo spettro di un futuro Stato indipendente curdo alle porte di casa.

Con Tal Abyad i curdi siriani avevano infatti unificato i cantoni del Rojava, di Czerire e di Kobane. Se fossero riusciti a conquistare Jarabulus – e in verità avrebbero avuto anche i mezzi per farlo – la Turchia sarebbe stata completamente separata dalla Siria. E molto probabilmente sarebbero state gettate le basi di uno Stato curdo indipendente.

Un incubo per la Turchia che in alcuni momenti è ricorsa anche a bombardamenti oltreconfine per fermare i curdi. E' indubbio che per Ankara il nemico numero uno sono i curdi, con cui è impegnata da tempo in una guerriglia contro i miliziani del Pkk – definiti da Ankara organizzazione terroristica - nelle regioni sud orientali della Turchia . Ed è altrettanto evidente che, agli occhi di Ankara, l'Isis era il male minore. Il Governo turco ha infatti cercato di usare lo Stato islamico per conseguire alcuni importanti obiettivi; non solo la caduta del regime siriano del presidente Bashar al Assad, l'acerrimo nemico del presidente Erdogan, ma anche in funzione di contenimento contro l'espansione dei curdi siriani.

Non è un segreto che i servizi segreti turchi in alcuni periodi abbiano facilitato (o chiuso un occhio) l'ingresso di foreign fighters, armi ma anche con il traffico di petrolio e prodotti raffinati. L'Isis tuttavia non si è rivelata una belva che si poteva controllare. E quando la Turchia, incalzata da Stati Uniti, Russia e Paesi europei, ha stretto le maglie sul suo confine, assumendo diverse iniziative contro lo Stato islamico, l'Isis le si è rivoltata contro con una serie di sanguinosi attacchi kamikaze ed operazioni terroristiche.

Ma nei piani della Turchia non si può non vedere il doppio gioco di Erdogan. Ankara sta infatti vendendo al mondo la sua attuale operazione militare in territorio siriano come la grande offensiva contro l'Isis come . In realtà questa operazione militare sarebbe anche, se non in buona parte, un nuovo fronte di guerra con il Pkk e le formazioni dei curdi siriani,

Ecco perché, per quanto abbiano dichiarato che a riconquistare Jarabulus sia stato l'esercito libero siriano, voci sempre più insistenti sostengono che Ankara abbia scelto il suo interlocutore militare oltreconfine in non meglio precisate milizie di arabo turcomanni. E solo in piccola parte nel Fsa. Milizie siriane/turcomanne scelte, addestrate e appoggiate militarmente, per ostacolare la nuova formazione appoggiata dagli americani. Vale a dire lo Sdf, una coalizione di milizie composte da ex brigate dell'Esercito libero siriano (Fsa) da elementi tribali sunniti e da alcune milizie che fanno riferimento al Consiglio militare siriaco, in parte espressione delle comunità cristiane della Siria.

Una forza consistente: 50mila unità, di cui più di 30mila appartenenti allo Ypg. La presenza di arabo sunniti moderati era ben vista e appoggiata dal Pentagono per non alterare troppo gli equilibri sul campo a favore dei curdi. Agli occhi degli Stati Uniti sono loro – come lo sono stati in passato – gli alleati più affidabili. Ma anche la Casa bianca è attenta a non attenta a non alterare gli equilibri sul campo. Perché – come rileva un rapporto di Ihs Jane's, una compagnia privata di Intelligence che si occupa di analizzare la sicurezza internazionale, e che sta monitorando la guerra di terra in Siria, nel corso degli ultimi 18 mesi le milizie dello Ypg hanno sì contribuito a ridurre le dimensioni del Califfato, ma hanno anche quasi triplicato i territori sotto il controllo curdo nel nord della Si

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