Mondo

Migranti, Ungheria e Polonia vogliono cambiare i Trattati Ue

  • Abbonati
  • Accedi
LO SCENARIO

Migranti, Ungheria e Polonia vogliono cambiare i Trattati Ue

Orban e Kaczynski si preparano a dare un colpo, forse definitivo, all’Europa dell’integrazione, delle decisioni condivise, delle responsabilità che passano, piano piano, dai governi nazionali al governo dell’Unione. Al vertice di Bratislava che inizia domani, Ungheria e Polonia sotto la guida dei loro leader - entrambi ultraconservatori, nazionalisti e populisti - sono pronte a sfidare la Germania e gli altri Stati membri arrivando a chiedere la modifica dei Trattati comunitari. A cominciare dai migranti, per poi allargare la verifica ad altre questioni, non secondarie che potrebbero riguardare la separazione dei poteri, l’indipendenza dei media, i diritti e le libertà dei cittadini.

Brexit ha mostrato che dall’Unione si può uscire e che l’Europa può essere cambiata. L’obiettivo dichiarato è «ridare forza e potere alle patrie», togliere competenze alla Commissione e liberarsi «dai burocrati di Bruxelles che vogliono comandare in casa nostra», come spesso ha ripetuto il magiaro Viktor Orban in questi anni, trovando da qualche tempo un fedele alleato nel polacco Jaroslaw Kaczynski. E ricevendo nei giorni scorsi il sostegno, anche se con toni meno accesi, anche dagli altri due partner del gruppo di Visegrad, Repubblica Ceca e Slovacchia.

La questione dei migranti
Sulla gestione dei flussi migratori è totale la sintonia tra il premier ungherese, che “regna” a Budapest da oltre sei anni, e il leader polacco di Diritto e Giustizia, che ha trionfato alle elezioni dello scorso ottobre. Orban e Kaczynski non vogliono accogliere rifugiati, rifiutano le quote di ripartizione decise dall’Unione e non accettano soprattutto che Bruxelles possa imporre loro una scelta sulla questione. Dal governo Orban dicono con enfasi che «all’Ungheria i migranti non servono» e che «le quote sono un’assurdità» e Varsavia - dove governa Beata Szydlo, fedelissima di Kaczynski - dichiara la chiusura totale verso i profughi, soprattutto se non cristiani.

Bilaterale a Parigi di Merkel e Hollande a vigilia summit Ue

Mentre Angela Merkel, con una decisione storica, apriva la Germania ai migranti, l’Ungheria realizzava un muro di filo spinato al confine con la Serbia per bloccare i disperati che in fuga dalla Siria e risalendo i Balcani tentavano di entrare nell’Unione europea. E il prossimo mese in Ungheria si terrà un referendum, dall’esito scontato, per bocciare le quote introdotte nell’Unione.

Orban e Kaczynski uniti dal nazionalismo e dal populismo
«Un vecchio detto spiega che se ti fidi di qualcuno allora puoi andare con lui a rubare cavalli. Gli ungheresi vanno con piacere a rubare cavalli assieme ai polacchi», ha detto Orban in un recente incontro a Krynica, località polacca sui Carpazi.

Orban e Kaczynski sono uniti dal nazionalismo e dal populismo, sventolati come bandiere e mescolati in contrapposizione a tutto quello che sta fuori dai confini della patria: che siano l’Unione europea, il Fondo monetario e la Russia, o più di frequente le grandi imprese straniere. Seguendo il modello ungherese di Orban, la Polonia di Kaczynski sta mantenendo le promesse della campagna elettorale: tasse per le banche, per le grandi catene della distribuzione, per le compagnie di telecomunicazione. Tasse quindi per le società non polacche a bilanciare la spesa sociale e le pensioni dei polacchi. Così – e con molte altre misure non sempre ortodosse – Orban ha in effetti rilanciato l’economia magiara. Per Kaczynski c’è invece il rischio di bloccare il percorso di sviluppo di un Paese che anche negli anni della grande crisi internazionale, con i governi di centro, è riuscito a evitare la recessione.

Lo scontro con Bruxelles
Probabilmente solo sulla Difesa, i quattro di Visegrad - tutti membri dell’Alleanza Atlantica - chiedono un rafforzamento dei legami europei, soprattutto sul controllo delle frontiere esterne dell’Unione. Sui migranti Orban e Kaczynski cavalcano e alimentano la paura, spesso irrazionale e ingiustificata, dei cittadini per il diverso. Trasformando la questione in una guerra di identità culturale se non di religione. «Il populismo non risolve i problemi ma al contrario è l’origine dei problemi, dobbiamo essere ben consapevoli di questo e e proteggerci da queste derive», ha detto ieri il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, nel suo discorso sullo stato dell’Unione.

Ma Ungheria e Polonia non sembrano disposte ad ascoltare le parole che vengono da Bruxelles. e non si capisce ancora fino a che punto intendano portare lo scontro. Nonostante l’esempio di Brexit, nessuno a Varsavia come a Budapest ha mai detto di volere uscire dall’Unione: i fondi europei hanno sostenuto e stanno sostenendo in modo decisivo le economie dell’Est. La Polonia ha ricevuto circa 67 miliardi di euro tra il 2007 e il 2013 e ha a disposizione oltre 114 miliardi fino al 2020, considerando i fondi coesione e quelli destinati alle politiche agricole; l’Ungheria ha saputo utilizzare in modo virtuoso 27,7 miliardi di euro fino al 2015 e potrà contare su altri 34 miliardi fino al 2020.
L’ultimo tentativo di mediazione per prevenire lo scontro tra i quattro di Visegrad e gli altri membri dell’Unione ci sarà stasera in un vertice tra Juncker, il presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, e il premier slovacco Robert Fico che ha la presidenza Ue di turno.

© Riproduzione riservata