Accordo mondiale per eliminare i gas refrigeranti più pericolosi per il clima. Ieri mattina i rappresentanti di 150 Paesi convocati dall'Onu a Kigali, in Ruanda, hanno concordato di rinunciare con gradualità all'uso degli idrofluorocarburi (Hfc). Gli Hfc sono i gas che si usano nei moderni (ma non nei modernissimi) impianti che producono freddo, cioè frigoriferi, condizionatori di automobili e case e così via. L'intesa è importantissima perché da sola consegue una parte considerevole dell'obiettivo di frenare il riscaldamento dell'aria del mondo.
L'intesa è un emendamento al Protocollo di Montréal, firmato nell'87 ed entrato in vigore nel 1989, e dal 2019 cominceranno a rinunciare agli Hfc i Paesi dall'economia più avanzata; in un secondo tempo toccherà ai Paesi di nuova economia, compresa la Cina che ancora una volta si è collocata fuori dal gruppo dei Paesi industrializzati.
Gli Hfc sono il punto d'incrocio, lo snodo, fra due politiche ambientali altrettanto grandi ma diversissime: il Protocollo di Montréal contro il buco dell'ozono e il Protocollo di Kyoto (e ora l'Accordo di Parigi) contro il riscaldamento del clima.
Primo fenomeno, il buco dell'ozono. I Cfc (clorofluorocarburi) messi a punto negli anni '30-'40 negli Usa parevano gas perfetti: stabili e inerti, non bruciano, non reagiscono con altri composti, non inquinano, non avvelenano. Negli anni del boom economico si abusarono per i frigoriferi e soprattutto venivano dispersi in aria in quantità enormi come propellente delle bombolette spray (erano anni in cui lo spray era di moda anche in prodotti come la lacca per capelli). Difetto: ad altissima quota, così stabili e inerti i Cfc pieni di cloro come un serial killer inarrestabile distruggono per anni milioni di molecole di ozono, un tipo di ossigeno il quale forma uno strato che protegge la terra dai raggi ultravioletti più pericolosi del Sole. Lo scudo di ozono era scomparso in molte zone, con la minaccia di malattie gravissime per l'uomo e di stragi di piante e animali.
A Montréal (padre del protocollo fu l'italiano Corrado Clini, che poi divenne ministro dell'Ambiente) si decise di mettere al bando questi prodotti attraverso sostituti sempre meno pericolosi per l'ozono: prima gli Hcfc (idroclorofluorocarburi), meno dannosi, e poi gli Hfc (idrofluorocarburi), innocui per l'ozono. Così, grazie a Montréal e grazie alla ricerca dell'industria verso prodotti chimici sostitutivi, il buco dell'ozono in una ventina d'anni s'è richiuso, e ormai questo pericolo per la vita sul pianeta è diventato modestissimo.
Secondo fenomeno: gli Hfc non nuocciono all'ozono. Ma sono mazzate per il clima, altra questione planetaria emersa successivamente ed esaminata a Kyoto, a Parigi e nelle varie Cop che si sono svolte nel mondo (la prossima, la Cop22, sarà fra tre settimane a Marrakech in Marocco).
L'intesa di Kigali, alla quale si è arrivati dopo negoziati durati tutta la notte torrida sotto il rombo dei condizionatori d'aria raffreddati forse ad Hfc, pone un tetto alle emissioni di Hfc, le quali verranno ridotte a partire dal 2019 dai Paesi industrializzati. Oltre 100 Paesi seguiranno nel 2024, inclusa la Cina che avvierà in primo vero taglio nella produzione e nell'uso degli Hfc nel 2029. Un piccolo gruppo di Paesi, inclusa l'India e il Pakistan, hanno ottenuto un altro rinvio, al 2028, con un -10% nel 2032.
L'effetto di riscaldamento degli Hfc sul clima è davvero notevole: l'accordo di Kigali avvicina di ben mezzo grado l'obiettivo di trattenere entro 1,5-2 gradi il cambiamento climatico. Si stima che l'accordo di Kigali abbia un effetto pari a tagliare di 70 miliardi di tonellate di anidride carbonica le emissioni dal 2030 al 2050, ovvero che tutto il mondo smettesse per due anni di emettere anidride carbonica, ovvero che sparissero 500 milioni di auto.
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