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La Bce prepara un Quantitative easing più lungo

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La Bce prepara un Quantitative easing più lungo

Foto Afp
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Non ci sarà il tapering a marzo. Il tono (e il fastidio) con cui il presidente della Bce Mario Draghi ha respinto le voci su una graduale riduzione degli acquisti di titoli lo rendono molto improbabile. È invece sicuramente «improbabile» che il quantitative easing, il programma di acquisti di titoli si concluda in modo brusco. «Uno stop improvviso non è nelle intenzioni di nessuno», ha detto. Il tapering, quindi, è la prima se non l’unica scelta per la exit strategy della politica monetaria. La conclusione , allora, è immediata. A dicembre, quando il consiglio della Bce si riunirà per «definire l’ambiente in cui si muoverà la politica monetaria dei prossimi mesi», sarà molto probabile un’estensione del quantitative easing.

Il ragionamento dipende tutto, ovviamente, dalla solidità della premessa. Draghi non ha voluto chiudersi nessuna possibilità, e non ha voluto dire che il tapering a marzo non ci sarà. Durante la riunione, del resto, non si è discusso delle prossime mosse ma si sono esaminate le prospettive economiche di Eurolandia e, soprattutto, di come affrontare l’eventuale problema della scarsità di titoli da acquistare (un tema che per altro diventerebbe davvero attuale solo nel caso di un’estensione del programma).

Nulla della discussione ha però fatto intravvedere la possibilità che la politica ultraespansiva possa presto giungere alla fine. Il rialzo dell’inflazione a settembre non è stato enfatizzato, e Draghi ha subito precisato che «non ci sono segnali di un convinto trend rialzista nell’inflazione sottostante». Ha anche ricordato che il legame statistico a volte riscontrato tra l’inflazione complessiva e le aspettative - l’unico motivo per cui si potrebbe dare enfasi a un rialzo dell’indice dell’inflazione spinto dal solo petrolio - «rende difficile stabilire inferenze stabili».

Per abbandonare la politica ultraespansiva, è necessario - ha poi ricordato Draghi - che il percorso dell’inflazione verso il 2% sia sostenibile («anzi autosostenibile») e durevole. Oggi il percorso non è autosostenibile: anche se le proiezioni indicato un’inflazione dell’1,6% per il 2018 - e presumibilmente un po’ più in alto per il 2019 - queste presuppongono che resti attivo il sostegno monetario. Il requisito della durevolezza prevede inoltre che la politica monetaria guardi - ha aggiunto Draghi - al di là dei «blips», di indicazioni puramente casuali e temporanee.

Naturalmente, «tutto questo non significa che la politica ultraespansiva possa durare per sempre», ha precisato Draghi. Questo monito, però, non può essere considerato come l’indicazione di un possibile cambio di passo. Lo stesso comunicato introduttivo non ha lanciato alcun segnale in questo senso. «A dicembre - recita invece - la valutazione del consiglio direttivo trarrà beneficio dalle nuovi proiezioni macroeconomiche dello staff fino al 2019 e del lavoro dei comitati dell’Eurosistema [delle banche centrali nazionali, ndr] sulle opzioni per assicurare un’implementazione senza intoppi del nostro programma di acquisti fino a marzo 2017 o oltre, se necessario».

Il consiglio direttivo, inoltre, «resta impegnato a preservare il livello di sostegno monetario molto consistente che è necessario per riassicurare il ritorno dell’inflazione a livelli che sono al disotto ma vicini al 2% nel medio termine». Un’indicazione che, al momento almeno, sembra poco compatibile con l’inizio del tapering già a marzo.

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