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Hillary e Trump negli stati chiave: corsa all’ultimo miglio. Fbi: Clinton non sarà incriminata per le mail

NEW YORK - Oggi Hillary Clinton è a Miami con Cher, domani, ultimo giorno utile a Raleigh, Carolina del Nord, a Grand Rapids in Michigan. E poi il gran finale a Philadelphia per rafforzare la vittoria chiave in Pennsylvana. Donald Trump invece è già oggi in Michigan e in Pennsylvania. Siamo all'ultimo miglio, all'ultima corsa frenetica, a zig zag fra gli stati chiave dei candidati per la Casa Bianca 2016, gli stati che decideranno queste elezioni storiche. Trump ha aggiunto appuntamenti in Wisconsin, Virginia e Minnesota, stati dove Hillary è in vantaggio ma dove il candidato repubblicano sta cercando il colpo di mano.

E proprio in Wisconsin il Donald ha rinunciato a un'apparizione con Paul Ryan, il presidente della Camera repubblicana che finalmente in nome dell'unità del partito era pronto a fare un comizio con lui. Ma Trump ha cancellato, ha voluto dimostrare di non aver bisogno di lui e dell'establishment, un'altra provocazione controversa del candidato repubblicano che non aiuta l'unità. Hillary invece si è mossa proprio sotto il segno dell'unità del partito e ha avuto buona notizia, il voto ispano americano è mobilitato a suo vantaggio.

Poi, l'8 novembre, il voto e la scelta, difficile, drammatica per molti americani che non riescono ad amare né l'uno né l'altro candidato, ma che si rendono conto di quanto sia importante la loro decisione per il futuro di un paese al bivio. Per la prima volta infatti, martedì prossimo, gli americani dovranno scegliere tra due modelli molto diversi di fare politica. Il primo ripercorre le tradizioni di sempre, con l'alternanza fra due partiti in guerra ideologica, ma uniti dalla condivisione di un modello che si identifica in valori di “apertura” nel senso più lato del termine. Il secondo consentirà l'arrivo a Washington, alla Casa Bianca, di un populismo che poggia sull'esclusione, sul razzismo, sulla chiusura. Correnti di pensiero ideologiche queste, che sono sempre esistite in America, nel sud soprattutto, ma che sono sempre rimaste ai margini del grande centro politico americano.

Abbiamo visto in America il Maccartismo, il periodo oscuro degli anni Cinquanta, con la tragica discriminazione anche violenta contro chi era sospettato di essere “comunista”. Abbiamo visto l'ascesa di George Wallace, governatore democratico dell'Alabama razzista e per la segregazione prima che i diritti civili fossero affermati da Lyndon Johnson, correre nelle primarie repubblicane.

Abbiamo visto in tempi più recenti David Duke, apertamente antisemita, membro del Ku Klux Klan correre anche lui, nel 1992 nelle primarie repubblicane (anni prima era coi democratici!) e fino al 2012 abbiamo seguito le gesta di Pat Buchanan, populista di destra alla Donald Trump, anche lui razzista e per la chiusura. Abbiamo visto l'affermazione del Tea Party, del movimento che nella destra del partito repubblicano raccoglieva per la prima volta in un gruppo parlamentare l'estrema destra del paese. Ma non avevamo ancora mai visto o immaginato di vedere il giorno in cui un esponente di questa ala della destra estrema di paese potesse diventare un candidato per la Casa Bianca e addirittura ottenere consensi talmente elevati da portarlo alla soglia della presidenza.

Per questo nell'ultimo miglio, nell'ultimo fine settimana di fuoco prima delle elezioni la battaglia si è fatta decisiva. Al quartier generale di Hillary a Brooklyn abbiamo visto strateghi stressati, in quello di Donald Trump, alla Trump tower, c'è meno attivismo perché la campagna è meno strutturata, tutto ruota in tipica tradizione populista attorno al “leader”.

In quest'ultima corsa frenetica Clinton e Donald Trump non si incontrano mai, ma si incrociano a distanza ravvicinata, ora in Pennsylvania (46,5% per Hillary 44% per Trump) ora in Florida (47% per Trump 46% per Hillary) o in Ohio( 46% Trump 43% Hillary) o Carolina del Nord (46,8% Trump 46% Hillary) o in Michigan (45% Hillary 41% Trump). Sono questi gli stati davvero chiave insieme ad altri che esploriamo nell'articolo di Marco Valsania.

Hillary resta in leggero vantaggio su base nazionale, e le basterà vincere in Pennsylvania e Michigan, dove è già in vantaggio, per assicurarsi le elezioni. Trump ha deciso di fare una puntata anche in Colorado, dove Hillary è in vantaggio (43% al 40%) e in Nevada dove la distanza è minima, anzi, dove il Donald è riuscito a fare il sorpasso e a trovarsi in vantaggio con il 50,5% delle preferenze nei sondaggi contro il 49,5% di Hillary. Ma il Nevada porta soltanto sei voti elettorali dei 270 necessari per vincere queste elezioni. Il voto si gioca complessivamente su 538 voti elettorali distributi fra i 50 stati. Ogni stato voterà per l'uno o per l'altro e il vincitore si vedrà assegnati i voti elettorali di quello stato. E il grosso del paese è già schierato.

È sulla base di questa divisione che si sono formati i grandi schieramenti politici del paese. La spaccatura è evidente, chiarissima, una spaccatura fra Nord e Sud, fra le grandi spianante e le grandi montagne della “wilderness” americana e le gigantesche aree metropolitane, fra il Midwest e le due coste, anche se a oriente il sud est è repubblicano soprattutto in South Carolina e Georgia. Nei loro passaggi seguono strategie molto diverse.

“Il voto si gioca complessivamente su 538 voti elettorali distributi fra i 50 stati. Ogni stato voterà per l'uno o per l'altro e il vincitore si vedrà assegnati i voti elettorali di quello stato. E il grosso del paese è già schierato. ”

 

Hillary si muove in gruppo, ha un vasto novero di sostenitori: politici, cantanti, attori, che appaiono con lei in comizio, in campagna. Trump è più solitario, tipico del leader populista, tutto ruota attorno a lui stesso, ieri ha avuto al suo fianco Sarah Palin. In questi comizi, soprattutto quelli di Trump, ascoltiamo poche tematiche e sfide per il futuro e molti insulti, calunnie.

Trump ad esempio continua a dire nei comizi che Hillary potrebbe essere incriminata dall'FBI per i suoi rapporti con la Fondazione del marito. Una notizia priva di alcun fondamento, diffusa dalla rete Fox news. L'FBI ha smentito persino che ci fosse un'inchiesta aperta sulla fondazione e Briet Baier, il veterano della Fox che ha dato la notizia ha chiesto pubblicamente scusa per il suo errore. Eppure anche ieri Trump con grande senso drammatico continuava a ripetere nei comizi che Hillary poteva essere incriminata.

Hillary continua a puntare sulla impreparazione di Trump, lo accusa di essere un misogino, ma non ha usato rivelazioni recenti, ad esempio che Melania Trump la moglie del candidato repubblicano, abbia lavorato in nero negli anni Novanta, senza documenti per l'immigrazione e senza pagare le tasse su circa 20.000 di guadagni. La sua campagna ritiene di essere in vantaggio, cerca di puntare su tematiche che puntano già alla riunificazione del paese. Soprattutto i suoi strateghi ritengono che un campagna molto negativa e aggressiva contro Trump sul piano personale darebbe un impressione di debolezza e questo è invece il momento di dimostrare sicurezza assoluta e di puntare lo stesso a una vittoria su larga scala, una vittoria che possa consentire con l'effetto traino di conquistare anche la maggioranza al Senato e di attaccare persino la maggioranza repubblicana alla Camera.

È questo dunque il capolinea, il punto di arrivo. Trump domani sarà in Florida per chiudere la sua campagna “in casa”, da solo. Hillary sarà in Pennsylvania lo stato must per lei. E sul palco ci saranno il marito Bill, il presidente Barack Obama e Michelle Obama. Lo sforzo di gruppo contro lo sforzo del “lider maximo”. Vinca il migliore.

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