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Qui a Mosul l’orizzonte è nero. Ma qualcuno riesce a salvarsi

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Qui a Mosul l’orizzonte è nero. Ma qualcuno riesce a salvarsi

MOSUL (Iraq)- L'orizzonte di Mosul è nero, quasi apocalittico, perché i jihadisti, nel tentativo di rallentare l'avanzata della coalizione, hanno incendiato gli ultimi pozzi di petrolio e loro, gli scudi umani del Califfato in fuga, escono fuori dalle colonne di fumo e dalla polvere dei combattimenti, tra i colpi di mortaio dell'Isis e l'artiglieria dell'esercito iracheno, agitando la bandiera bianca. I jihadisti oppongono una resistenza accanita: ormai si combatte una battaglia urbana, casa per casa. Samira, Yasser e i loro cinque figli sono in salvo, dietro le linee della Golden Division di Baghdad, dopo avere superato la linea del fuoco di Hais Hamac. L'autista, Barzan, li carica tutti sul suo pick up e gli diamo un passaggio fino al punto di raccolta da dove li porteranno nel campo profughi di Kazir, una distesa di tende bianche che ne ospita già alcune migliaia.

Barzan fa lo slalom tra le macerie del quartiere di Gogjali, che i jihadisti avevano intitolato a Zarqawi, il nome dal capo di Al Qaida in Iraq, colui che con il terrore aveva messo a punto la strategia di sollevare un conflitto infinito tra sciiti e sunniti. Abu Musab Zarqawi fu ucciso in un bombardamento americano nel 2006 ma è stato da una costola della sua organizzazione che è nato l'Isis di Abu Baqr Baghdadi. In un angolo si sfiora un'autobomba dei jihadisti, l'ultima è esplosa solo un paio di ore fa mentre ci avvicinavamo alla prima linea, sulla riva orientale del Tigri, L'esercito iracheno, con la copertura dei peshmerga curdi, fa progressi ma la resistenza del Califfato qui è ancora forte mentre i combattenti curdi, sostenuti dall'aviazione americana, sono entrati a Bashiqa e ne rivendicano la completa liberazione.

La battaglia per Mosul, si combatte accanitamente casa per casa

Qui l'Isis stava resistendo da giorni perché la caduta di Bashiqa significa che l'assedio di Mosul diventerà da un lato quasi impenetrabile. Non lontano da Bashiqa, a Zelkan, c'è la base delle forze armate turche che avrebbero addestrato tremila uomini per partecipare a una battaglia di Mosul dove sono ospiti sgraditi: non li vogliono né le autorità di Baghdad né i peshmerga. I turchi si presentano come i difensori della minoranza turcomanna e dei sunniti che dopo la caduta di Saddam Hussein sono stati emarginati da un potere che avevano detenuto per decenni nel Baath, nell'esercito, nei servizi segreti. Erdogan qui in Iraq, come in Siria, punta a espandere l'area di influenza della Turchia e in qualche discorso ha rivendicato l'appartenenza di Mosul allo stato turco citando i trattati e le promesse non mantenute degli anglo-francesi che dopo la prima guerra mondiale si spartirono le spoglie dell'Impero Ottomano.

Nella polvere della battaglia di Mosul però non contano le antiche rivendicazioni ma i morti. Eppure tutti sanno che qui a Mosul non finisce la storia del Califfato nero e neppure quella della Iraq o della Siria, dove la coalizione ha lanciato un'offensiva per liberare Raqqa, la capitale ufficiale dell'Isis. Verso Mosul corrono i blindati dell'esercito iracheno che sventolano la bandiera nazionale ma anche i vessilli degli sciiti con l'immagine dell'Imam Alì. Le milizie sciite vere e proprie, denominate Forze di mobilitazione popolare, sono schierate fuori da questa città a maggioranza sunnita e forse non entreranno per evitare le vendette che ci sono state a Ramadi e Falluja. Già nei simboli si comprende che nella battaglia di Mosul sarà decisivo quello che accadrà dopo.

Lo dice l'inviato di Obama per la coalizione Brett Mc Gurk , ma anche Masrour Barzani, capo del consiglio di sicurezza del governo regionale del Kurdistan e figlio del presidente Massud. I Barzani e il loro clan hanno in mano le sorti di questa parte dell'Iraq: occupano la presidenza, il governo le dirigono le forze di sicurezza, i peshmerga e soprattutto decidono cosa dare del petrolio dei curdi. È con un accordo per l'esportazione dell'oro nero di Kirkuk che Barzani si è alleato con il governo iracheno del primo ministro Abadi. Il petrolio da queste parti continua a essere il lubrificante più efficace per fare la pace e la guerra.

« Non dovete pensare che con la battaglia di Mosul finisce il Califfato - dice Masrour Barzani - l'ideologia del gruppo è destinata a sopravvivere. Questa sarà una lotta lunga che non si limita al campo militare ma investe anche quello sociale ed economico». Il revanscismo sunnita, vuole dire Barzani, non sarà seppellito sotto le macerie di Mosul. L'orizzonte nero della città non promette un futuro radioso: ma oggi da quelle colonne di fumo escono in salvo uomini, donne, bambini, e questo è già molto.

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