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Le voci del Consolato Usa a Milano: ha vinto il voto anti-establishment

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Le reazioni in italia

Le voci del Consolato Usa a Milano: ha vinto il voto anti-establishment

Alla fine, è stato lui: The Donald. Trump, l'outsider «impresentabile» del Partito repubblicano, è il nuovo presidente degli Stati Uniti. E nel Consolato americano di Milano, riunito dalle prime ore del mattino all’hotel Excelsior per commentare l'esito delle urne, i sentimenti sono tanti. L'unico grande assente? Lo stupore. Il successo del tycoon, travolto dai suoi stessi scandali e osteggiato dai media, non coglie di sorpresa quasi nessuno. Persino quando si parla dei rapporti commerciali, il tasto più delicato per la rappresentanza di Milano.

Oltre alla superficie degli annunci elettorali, la “Trumpeconomy” aveva fatto storcere il naso a molti per il suo ricettario contraddittorio: taglio delle tasse e aumento della spesa pubblica, crescita internazionale e rottura dei trattati commerciali come il Ttip, centralità dell'America e isolamento con rincaro dei dazi. Il giudizio sul risultato elettorale, in compenso, è unanime: non ha “solo” vinto Trump, hanno perso Hillary Clinton e la sua storia politica.

Rabbia verso l'establishment e voglia di cambiare. E il paragone con Obama
Andrea Ceron è il cofondatore di Voices of the Blog, uno spin-off dell'Università di Milano specializzato nel catturare i sentimenti del web con l'analisi dei Big Data. La sua startup è stata tra le poche fonti a prevedere l'exploit del tycoon, grazie al filtro di commenti e reazioni del popolo online. Il quadro che emerge dall'elezione di Trump, a caldo, è simile a quello che si era paventato fin dall'inizio della sua corsa elettorale: il magnate ha beneficiato della debolezza della sua avversaria, Hillary Clinton, identificata con l'odiato «establishment» finanziario e politico degli Stati Uniti.

«Paradossalmente la situazione economica non è così stagnante e Obama godeva di un livello di approvazione molto superiore rispetto alla media di Bush e chi lo precedeva – dice Ceron – Quello che stupisce è la sconfitta di Clinton come rappresentazione del potere». Ceron propone un paragone che potrebbe far sobbalzare i vecchi fan del Partito democratico: Obama. Cosa accomuna Trump al presidente uscente, peraltro attaccato a viva forza per l'intera durata della campagna? «Clinton venne a sorpresa sconfitta da Obama per una carenza di consenso nella pancia del Paese: c'era voglia di un candidato nuovo, di rottura. Trump ha battuto Clinton con le stesse motivazioni: a uno degli ultimi convegni, in Florida, la gente gridava di “prosciugare il pantano”».

L’identikit dell’elettore di Trump
Ma allora: esiste un identikit dell'elettore di Trump? La fotografia scattata finora è sempre stata simile, con gli aggiustamenti del caso: bianco, impoverito, diffidente dai rapporti internazionali, conservatore su temi etici o cari all'American way of life come aborto, matrimoni gay e diritto al possesso di armi. «Il quadro sembra corrispondere: si parla sopratutto delle classe operaia, bianca, in crisi, proveniente da Stati come Wisconsin e Texas – dice Ceron - Ma, ripeto, ha giocato un ruolo fondamentale la rabbia contro l'establishment».

La Camera di commercio Usa: per l'Italia cambia poco, il problema è il Ttip
Sul piatto, però, resta l'incognita che pesa di più sull'Italia: i rapporti commerciali. L'interscambio Italia-Usa è valso 50 miliardi di euro solo nel 2015 e gli Stati Uniti sono il terzo mercato d'approdo per le merce italiane vendute all'estero. Le pulsioni protezionistiche di Trump rischiano di far saltare il ponte? Simone Crolla, managing director dell'American Chamber of Commerce italiana, non vede particolari rischi per i flussi ordinari di import-export. A rischio, semmai, sono le negoziazioni per il Ttip (Transatlantic trade and investment partnership), il super accordo commerciale che dovrebbe favorire lo scambio tra le due sponde dell'Atlantico: «Tra l'Italia e gli Usa non cambierà molto. Cambierà invece il modo in cui il trattato Ttip è in negoziazione: dobbiamo trovare un modus operandi». I mercati hanno già reagito all'elezione con dei veri e propri tonfi: la borsa di Tokyo è in picchiata, il peso messicano ha registrato la peggiore perdita degli ultimi 20 anni (-13%), è scattata al corsa ai beni rifugio come l'oro. Crolla non è sorpreso: «Mi sembra naturale che ci sia una prima reazione di shock, ma sarà seguita da un aggiustamento. Il risultato vero è che ha vinto l'America “mainstreet” contro Wall Street».

Forse una delle analisi più compiute del risultato di Trump e del suo riflesso sull'Italia era arrivato già ieri, da un intervento di Carlo Altomonte al Morningstar investment conference di Milano. Altomonte, professore alla Bocconi ed esperto di integrazione economica europea, ha spiegato la frustrazione che muove i voti della classe media sulle forze di rottura. Di qualsiasi bandiera e orientamento, dall'Europa a Trump. «Negli ultimi 30 anni, l'elettore “mediano” per reddito ha perso il 10% e oltre della sua ricchezza a causa della globalizzazione. Se gli si parla dei vantaggi del commercio globale, non li capirà e voterà comunque contro l'establishment». Altomonte parlava della Brexit. Ma, a quanto pare, il modello non è cambiato.

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