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Clinton e Trump, l’America ha deciso. Exit poll: hanno votato…

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i repubblicani mantengono la camera e sono avanti al senato

Clinton e Trump, l’America ha deciso. Exit poll: hanno votato più ispanici e meno bianchi e afroamericani

Hanno votato più ispanici e meno banchi e afroamericani: i primi exit poll sulle elezioni americane, rilasciati dalla CNN, hanno mostrato un aumento degli elettori di origine latinoamericana, l’11% del totale contro il 7-8% del 2008 e 2012, che potrebbe favorire la democratica Hillary Clinton. Gli afroamericani sono scesi al 12% dal 12,5-13,4% precedente ma soprattutto è diminuita l’influenza degli elettori bianchi, pari al 70% rispetto al 73%-76%. Clinton ha votato in mattinata a Chappaqua, la cittadina dei sobborghi newyorchesi dove risiede. E, mostrando sommessa fiducia, ha professato «umiltà» al cospetto delle urne e «speranza di vincere».

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Donald Trump, dopo aver imbucato tra le strette di mano la sua scheda presso la Scuola Pubblica N. 59 di Manhattan, ha invece parlato al canale televisivo Fox per promettere ancora sorprese: «Mi affermerò in molti stati». E ha denunciato come «sbagliati di proposito» i sondaggi che, giunti al D-Day elettorale, danno la rivale in vantaggio di percentuali tra 3 i 6 punti su scala nazionale. Assieme ai sondaggi, anche i mercati hanno continuato a scommettere su una vittoria di Clinton spingendosi a urne ancora aperte in rialzo per la seconda seduta consecutiva.

Con i due protagonisti hanno votato in tanti in America. Lunghe code ai seggi, da una costa all’altra del Paese, hanno dato conto di una partecipazione molto elevata per calare il sipario su una delle più combattute battaglie presidenziali della storia, segnata da toni aggressivi, scandali e colpi bassi. Un sipario calato senza incidenti, ma su una scelta tra candidati agli antipodi: tra Hillary Clinton, la democratica che ambisce a diventare la prima donna Commander in chief degli Stati Uniti, e Donald Trump, costruttore diventato politico e grande outsider per eccellenza. Segno di passioni e tensioni, alla vigilia avevano già votato con procedure anticipate in oltre 43 milioni, un record assoluto pari a un terzo dei 130 milioni di americani attesi alle urne. In alcuni stati cruciali, quali Florida e North Carolina, si era espressa quasi metà dell’elettorato, rispettivamente sei e tre milioni di votanti. E nella campagna, con un’accelerazione negli ultimi giorni, è stato riversato alle fine un miliardo di dollari dai candidati e da gruppi fiancheggiatori, con Clinton che ha iniettato direttamente 450 milioni, il doppio di Trump.

I due candidati avevano a loro volta terminato la loro corsa con uno vero e proprio sprint per fare appello ai loro elettori. Hanno attraversato gli Stati Uniti dal New Hampshire alla Pensylvania, dal Michigan al North Carolina e al Minnesota. Clinton, la mattina del voto, era reduce da un rally aggiunto in extremis a Raleigh in North Carolina, dopo un evento organizzato in prima serata a Philadelphia con la partecipazione di Bruce Springsteen e di Barack e Michelle Obama. Il messaggio: ottimismo per il futuro, per raccogliere l’eredità di Obama, grazie alla mobilitazione di una coalizione di giovani “millennials”, minoranze etniche ispaniche e afroamericane, donne e anche dell’elettorato maschile più istruito. Trump, sul podio fino alla notte fonda di lunedì a Grand Rapids in Michigan nel cuore della Rust Belt dopo una tappa in New Hampshire, si è invece ancora una volta fatto paladino dei lavoratori bianchi delusi, di ceti popolari in difficoltà economica e stanchi della politica tradizionale, oltre che dei repubblicani. «Non avremo più una simile occasione, un simile movimento popolare», ha detto.

Usa 2016: a che ora sapremo il vincitore

Trump è parso conscio della strada in salita verso la Casa Bianca: senza una vittoria in Florida o a sorpresa in Pennsylvania e in Michigan, difficilmente poteva ambire a conquistare i 270 Grandi Elettori necessari a entrare nello Studio Ovale. Uno stato in passato incerto quale il Nevada è parso ieri perso agli occhi degli stessi strateghi repubblicani, nonostante Trump abbia presentato ricorso in tribunale per voti irregolari. Clinton, con un successo anche solo in una delle grandi regioni in bilico, è parsa invece destinata a mettere al sicuro la propria elezione. Ieri sera partiva da una base ritenuta sicura di 213 Grandi elettori contro i 157 di Trump.

Con particolare attenzione venivano tenuti sotto osservazione i risultati anche di due stati dati per certi, uno per Trump e l’altro per Clinton, le cui dinamiche potevano essere rivelatrici di trend nazionali e dell’ampiezza del mandato dell’eventuale vincitore. In Georgia era prevista una vittoria repubblicana, ma un forte voto della comunità afroamericana, un terzo dell’elettorato, è di buon auspicio altrove per l’entusiasmo della base cercato dai democratici. Al contrario la Virginia, stato di Tim Kaine, il vice di Hillary, veniva data per democratica ma un margine ristretto grazie al voto di contee bianche e rurali poteva incoraggiare Trump.

Lo scontro per il controllo del Congresso è arrivato al traguardo altrettanto accesa. Se alla Camera, dove vengono eletti tutti e 435 i parlamentari, una conferma forse ridimensionata della maggioranza repubblicana appariva probabile nella notte, gli equilibri al Senato, che rinnova un terzo dei cento seggi, erano in gioco. I repubblicani dovevano difendere 24 seggi contro dieci dei democratici e al partito di Clinton basta strapparne quattro per ribaltare il dominio conservatore. Le corse più dure si sono dipanate tra Indiana, Illinois, Wisconsin, Pennsylvania, Florida, New Hampshire, Missouri e North Carolina. In Florida è stato fino all’ultimo incerto il seggio dell’ex candidato repubblicano alle primarie presidenziali Marco Rubio, in New Hampshire quello della neo-senatrice Kelly Ayotte sfidata dal governatore dello stato Maggie Hassan. In Illinois il repubblicano Mark Kirk arrancava contro la democratica Tammy Duckworth, veterana dell’Iraq dove ha perso le gambe. I repubblicani speravano però di conquistare a loro .

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