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AMBASCIATORE RUSSO

Russia, Iran, Turchia: Putin battezza la nuova trojka per la Siria

L’omaggio del ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu (a sinistra) e del russo Serghej Lavrov all’ambasciatore ucciso
L’omaggio del ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu (a sinistra) e del russo Serghej Lavrov all’ambasciatore ucciso

Chiameranno con il suo nome, Andrej Karlov, la via di Ankara in cui si trova la rappresentanza diplomatica di Mosca. Il giorno dopo l’assassinio dell’ambasciatore russo, ucciso lunedì mentre interveniva all’inaugurazione di una mostra fotografica ad Ankara, Vladimir Putin ha inviato nella capitale turca la squadra di 18 inquirenti - uomini dei servizi e del ministero degli Esteri - che affiancheranno i colleghi turchi in un’inchiesta congiunta. L’attentato, contrariamente alle probabili intenzioni degli autori, non sembra destinato a compromettere le relazioni tra Mosca e Ankara. Al contrario, l’asse da poco ricostituito tra Putin e Recep Tayyep Erdogan potrebbe uscirne rafforzato. Passando per quello che il ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov ha definito «lo strumento più efficace per risolvere la crisi siriana»:  una “trojka” composta da Russia, Iran e Turchia.

È l’esito del vertice trilaterale che si è svolto martedì a Mosca: i ministri degli Esteri e della Difesa di Paesi che finora hanno combattuto su fronti opposti in Siria. L’Iran sciita a fianco di Bashar Assad, la Turchia sostenitrice delle milizie sunnite dell’opposizione: portati a un unico tavolo dalla Russia di Putin, regista che lascia ai margini della scena gli Stati Uniti e che in qualche modo esce rafforzato anche dall’attacco di Ankara, che indebolisce ulteriormente Erdogan. La cooperazione fra i tre Paesi riuniti a Mosca, ha detto a Lavrov, «garantirà l’evacuazione dei civili e dei gruppi armati da Aleppo, entro uno o due giorni». Senza risparmiare critiche al Gruppo internazionale di sostegno per la Siria che, come ha detto Lavrov, «non è riuscito a far rispettare le decisioni adottate fino a oggi», la nuova trojka non nasconde l’ambizione di andare oltre la riconquista di Aleppo: «Il nostro modello di cooperazione ha già condotto a un successo definitivo», ha aggiunto il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu. È arrivato il momento di estendere tali modalità di intervento ad altre zone della Siria.

L’attacco all’ambasciatore russo, dunque, non è riuscito a far deragliare la determinazione di Putin ed Erdogan a proseguire, ciascuno per proprio conto ma anche uniti, la lotta al terrorismo. «Non ci devono essere concessioni ai terroristi», aveva detto martedì mattina a Mosca Lavrov a fianco di Cavusoglu. La sera di lunedì, dopo aver sentito Erdogan al telefono poche ore dopo l’omicidio, Putin l’aveva descritto come «una provocazione» intesa a scardinare la normalizzazione dei rapporti tra Russia e Turchia, e il «processo di pace in Siria». Provocazione che dovrà avere una sola risposta, aveva detto Putin: «Il rafforzamento della lotta al terrore. I banditi se ne accorgeranno».

Il nome del killer è Mevlut Mert Altintas. Il sito del quotidiano online Hurriyet parla di una stanza prenotata il giorno prima in un albergo vicino al Centro delle arti contemporanee di Ankara, dove Andrej Karlov sarebbe intervenuto per inaugurare una mostra di fotografie, «La Russia con gli occhi dei turchi». Di professione poliziotto, spiegano gli inquirenti, Altintas, 22 anni, aveva chiesto un giorno di permesso dal lavoro. Si era servito però del tesserino della polizia per introdursi nel locale dove l’ambasciatore russo avrebbe parlato, arrivando addirittura alle sue spalle per ucciderlo, con otto colpi di pistola. Per poi essere ucciso a sua volta dalle forze speciali turche.

Altintas veniva dalla città di Soke, nella regione dell’Egeo (Turchia occidentale), e a Smirne aveva frequentato l’Accademia di polizia. Tra il 2014 e il 2015 aveva fatto parte della guardia personale di Erdogan. Ma poi, secondo i media locali, era stato sospeso per sospetta appartenenza alla rete di Fethullah Gulen, l’imam che dagli Stati Uniti cospirerebbe contro Erdogan, che lo ritiene all’origine del golpe fallito nel luglio scorso. Reintegrato dopo poche settimane, Altintas aveva partecipato la settimana scorsa al rafforzamento delle misure di sicurezza attorno alla sede diplomatica di Mosca ad Ankara, in seguito a proteste anti-russe.

È dunque quella dei “gulenisti” la pista più battuta dagli inquirenti turchi, che seguono l’ipotesi di un tentativo di sabotaggio del disgelo con Mosca attuato a partire dall’estate scorsa dopo la lettera di scuse scritta da Erdogan a Putin per l’abbattimento di un jet russo, nel novembre scorso, sul confine tra Turchia e Siria.

La pista del gulenismo si intreccia con quella della jihad islamica: la Cnn accosta il killer al fronte al-Nustra, il braccio di al-Qaida in Siria. Attaccando alle spalle l’ambasciatore Karlov, Altintas avrebbe gridato in arabo «Allah Akbar», e poi «Non dimenticate Aleppo, non dimenticate la Siria. Fino a quando le nostre città non saranno sicure, neanche voi sarete al sicuro. Solo la morte mi può portare via. Noi siamo quelli che hanno giurato fedeltà a Maometto per condurre la jihad».

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