Non tutti sanno pensare in grande, ma quasi tutti sono attratti da chi lo fa. Ecco perché un po’ d’iperbole non fa mai male [...]. Io la chiamo “iperbole veritiera”. È una forma innocente di esagerazione - e ancor più efficace di promozione». Questa citazione dal best-seller “Trump: l’arte dell’affare” è l’essenza della filosofia e del modus operandi del magnate newyorkese.
Negli annali della storia americana, il 20 gennaio 2017 potrebbe dunque essere ricordato come il giorno in cui l’“iperbole veritiera” ha conquistato la Casa Bianca. Sarà senza dubbio il trionfo finale del suo messia, Donald Trump, ma anche una grande vittoria per uno dei suoi profeti minori, Nigel Oakes, un cittadino britannico che si definisce «pioniere nel campo del soft power». Se il tycoon siederà nell’Ufficio Ovale sarà infatti anche merito di Cambridge Analytica, la controllata americana della holding inglese di Oakes che Cnn ha definito «arma segreta di Donald Trump».
Il ruolo di Cambridge Analytica
Da un’inchiesta condotta dal Sole 24 Ore, e pubblicata oggi anche dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung in Germania, emerge che negli ultimi tre decenni Oakes ha dato prova di essere uno straordinario venditore. I prodotti che commercia attraverso la sua holding inglese, Scl Group, sono gli strumenti per una “democrazia guidata”, governata cioè da chi riesce a manipolare il consenso.
C’è chi pensa che le sue tecniche costituiscano una minaccia al processo elettorale, e chi minimizza, considerandole semplici dispositivi per grandi sceneggiate. Ma potrebbero essere entrambe le cose. In una società in cui un numero sempre crescente di elettori sembra non volere essere infastidito dai fatti, vincono coloro che riescono a condizionare meglio le impressioni degli altri. E più spesso che non, lo fanno con grandi sceneggiate.
Le metodologie che Oakes ha sviluppato nel corso di oltre un quarto di secolo hanno applicazioni non solo civili, ma anche militari. Tant’è che nel corso degli anni sono state finanziate o adottate dal Pentagono, dalla Nato e dai ministeri della Difesa di Regno Unito, Norvegia, Ucraina e Canada.
Ma niente ha avuto l’impatto della vittoria elettorale di Donald Trump. L’amministratore delegato di Cambridge Analytica, un altro inglese di nome Alexander Nix, ha dichiarato che «il nostro approccio rivoluzionario alla comunicazione» ha giocato un ruolo fondamentale nella straordinaria vittoria di Trump.
Comunque sia, è certo quello che i registri della Commissione elettorale federale riportano per il ciclo elettorale del 2016: Cambridge Analytica è stata pagata un totale di 16.843.974 dollari dalla campagna di Trump e da quella del senatore texano Ted Cruz (per la quale ha lavorato nel corso delle primarie).
Ma il ruolo di Ca potrebbe non esaurirsi con la vittoria elettorale di Trump. Secondo il quotidiano britannico The Guardian starebbe negoziando «due ricchi contratti», uno per gestire immagine e messaggio della nuova amministrazione, l’altro per occuparsi del marketing della società che porta il nome del nuovo presidente.
Con il Sole 24 Ore, Ca non ha voluto né confermare né smentire questa trattativa, respingendo peraltro ogni altra richiesta d’informazione o di intervista. Ma la sua influenza sulla futura Casa Bianca non scaturirà solo da questi due contratti. Nel suo Cda risulta essere presente Stephen Bannon, l’ex banchiere di Goldman Sachs divenuto top manager di siti di ultra-destra che, dopo aver diretto la campagna elettorale di Trump, è stato nominato suo “consigliere strategico”. E il più significativo investitore americano di Cambridge è Robert Mercer, l’imperscrutabile finanziere newyorkese venuto alla ribalta durante la campagna elettorale al fianco prima di Cruz poi di Trump e destinato a mantenere un ruolo influente sulla nuova Casa Bianca.
Né Bannon né Mercer hanno mai voluto esprimersi ufficialmente sul loro legame con Cambridge, ma varie persone che hanno lavorato per le campagne elettorali di Cruz e Trump lo hanno confermato. «Ero presente quando un dirigente di Ca ci ha detto che Bannon e Mercer erano coinvolti», ci ha detto un alto funzionario repubblicano che ha chiesto l’anonimato.
«Bannon ha condotto tutte le trattative con noi per conto di Ca, e in ogni telefonata con lui c’era sempre anche Rebekah Mercer, la figlia di Robert», conferma un collaboratore di Cruz, che aggiunge un dettaglio sul vantaggio competitivo che la presenza di Mercer concede a Cambridge su tutti i concorrenti: «Non è dichiarato apertamente, ma si fa capire chiaramente che ingaggiando Ca si ha il beneficio secondario di ottenere donazioni da parte di Mercer».
Le tracce nei big data
Soldi di Mercer a parte, ai suoi potenziali clienti Cambridge offre una formula unica che consiste nell’individuare micro-categorie di potenziali elettori selezionate attraverso un’analisi delle tracce elettroniche lasciate nei cosiddetti “big data” e una schedatura psicologica. «Offriamo il risultato di 25 anni di esperienza nell’attivazione di cambiamenti comportamentali», si legge nel loro sito, dove dichiarano di aver accumulato «fino a 5mila dati su ognuno degli oltre 220 milioni di adulti americani».
Cambridge classifica i potenziali votanti sulla base della loro personalità «allo scopo di capire come si comportano e perché». Ma il vero valore aggiunto della tecnica che Ca chiama “behavioral micro-targeting” sta nel fatto che, a sua detta, non si limita a segmentare gli elettori ma «li spinge ad agire».
Se, parafrasando lo scrittore e poeta inglese Thomas Hardy, le elezioni sono un’impressione e non un ragionamento, Cambridge ritiene che non sia questione soltanto di produrre comunicazione persuasiva, bensì messaggi mirati che incoraggino un cambiamento comportamentale.
Dalla fine della Prima Guerra Mondiale, la scienza della persuasione di massa ha acquisito un ruolo centrale nella vita politica, e nel corso dei decenni successivi ha fatto passi da gigante sia in termini di efficacia sia di precisione. Fino ad arrivare alle ultime presidenziali americane, in cui la cultura post-fattuale della “verosimiglianza desiderata” ha definitivamente avuto il sopravvento sulla realtà per via di quella miscela esplosiva creata dalla frammentazione sociale, la delusione politica e l’uso sregolato dei social media.
«La strategia di Trump sembra essere stata quella di dire qualsiasi cosa e il suo contrario, per poi lasciare ai suoi esperti di social media il compito di assicurarsi che ogni potenziale votante sentisse quello che voleva sentire. E grazie a un sistema di comunicazione social-mediatico fortemente integrato e strettamente monitorato la tattica sembra aver funzionato benissimo», osserva Paul-Olivier Dehaye, esperto di protezione dei dati e co-fondatore di PersonalData.IO.
Manipolare la realtà - a partire dalla propria – è da sempre la specialità di Nigel Oakes. Il suo Cv nel sito di Scl Group dice che «è stato educato a Eton e all’University College London (Ucl), dove ha studiato Psicologia». Ma in una lettera inviata nel 2008 a David Miller, professore di sociologia studioso di propaganda, Ucl ha dichiarato di non avere alcuna evidenza del fatto che Oakes abbia studiato lì.
Il Cv continua dicendo che nel 1990 Oakes ha lanciato il Behavioural Dynamics Institute, «un centro di eccellenza e ricerca sulla comunicazione strategica… con i professori Adrian Furnham (Ucl) e Barrie Gunter (Università di Leicester)». Furnham e Gunter sono due esperti in psicometria, il campo di studio della teoria e della tecnica della misura in psicologia, e il loro coinvolgimento accorda automaticamente credibilità all’istituto di Oakes, l’organo che a suo dire ha sviluppato l’impianto teorico della metodologia in questione. Il problema è che i due accademici britannici hanno un ricordo di tutt’altra natura del rapporto con Oakes. «Si è appropriato del mio nome e della mia reputazione per fare carriera. Era una persona inaffidabile e per questo Gunter e io abbiamo tagliato i ponti con lui», ci ha scritto il professor Furnham per email.
Il suo collega Barrie Gunter è stato ancora più esplicito: «Per quel che so, Behavioural Dynamics era il nome di una società che Nigel aveva fondato. Lui non aveva alcuna laurea e per ottenere credibilità nel campo della psicologia aveva bisogno di esperti. Per questo ci aveva contattato. Ma nonostante gli sforzi non trovammo mai il modo di tenerlo sotto controllo e convincerlo a smettere di fare promesse insostenibili ai suoi potenziali clienti. Per questo interrompemmo i rapporti con lui», ricorda il professor Gunter.
Secondo il sito di Scl Group, la metodologia sviluppata dal sedicente Istituto è stata adottata da vari Paesi della Nato e «verificata dalla Defense Advanced Research Project Agency americana». Tant’è che «nel 2012 Oakes ha ricevuto il premio della Fondazione RH per i suoi meriti di comunicatore, premio consegnatogli da Mark Laity, direttore della Comunicazione strategica della Nato».
Il Sole 24 Ore ha appurato che nell’estate del 2015 Scl Group è stata pagata circa 700mila euro dal Centro d’eccellenza per la comunicazione strategica della Nato di Riga, in Lettonia, per un corso intensivo di nove settimane sulla cosiddetta Target Audience Analysis, una tecnica di «valutazione della suscettibilità alla propaganda» il cui sviluppo è attribuito da Scl al Behavioural Dynamics Institute.
Abbiamo inoltre trovato conferma della consegna del premio della Fondazione RH da parte di Mark Laity. Ma neppure Laity è riuscito a spiegarci cosa sia e cosa faccia la Fondazione RH.
Per quel che riguarda invece Darpa, l’Agenzia di ricerca del Pentagono ci ha spiegato che «sarebbe contro la sua politica» fare una dichiarazione di verifica di qualsiasi metodologia privata.
Oakes e le sue esagerazioni
La propensione di Oakes a fare asserzioni esagerate non riguarda solo l’origine della sua metodologia. Tra i “progetti” elencati nelle pagine del sito di Scl, ce ne è uno in Indonesia che dice: «Dopo il ritorno della democrazia nel 1999 ci è stato chiesto di gestire la campagna elettorale di uno dei principali partiti indonesiani. La campagna è stata particolarmente complessa, dovendo rivolgersi a oltre 200 milioni di elettori in 40 lingue diverse». In testa a quella frase si legge una citazione dell’ex presidente Abdurrahman Wahid, leader del Partito Nazionale del Risveglio, che dice: «Sono in debito con Scl per come ha saputo gestire il mio successo elettorale». Il problema è che nel giugno del 1999 il partito di Wahid non ha affatto vinto le elezioni, ottenendo appena il 12% dei voti, e che Wahid è stato eletto presidente con un voto parlamentare soltanto dopo aver ottenuto il sostegno di altri partiti. Wahid è morto da anni, ma sua figlia ricorda ancora come sono andate le cose: «Il signor Oakes non ha mai avuto a che vedere con la campagna elettorale. Ci è stato introdotto da una persona vicina a mio padre, la quale ha chiesto al signor Oakes di mettere in piedi una sorta di “centrale operativa” che potesse gestire la comunicazione dopo che mio padre era stato eletto presidente. Ma questa centrale non ha mai prodotto alcun risultato».
Fare colpo sui clienti con una “centrale operativa” ipertecnologica è uno degli espedienti di marketing adottati da Scl. Ne aveva presentata una anche nel 2005 durante una fiera di prodotti militari a Londra, realizzata da Vision 360 Ltd, società di effetti speciali cinematografici che aveva prodotto la “stazione di comando & controllo” di James Bond nel film Goldeneye. Una curiosità: Vision 360 Ltd è il nome della società che risulta aver registrato il dominio www.bdinstitute.org, appartenente al sedicente istituto di Oakes.
Anche dopo le presidenziali americane sono emersi dubbi sull’efficacia della metodologia di Scl. In un convegno tenutosi il 9 dicembre presso la sede della Microsoft a Washington, questi dubbi sono stati posti direttamente a Matthew Oczkowski, responsabile per i prodotti di Cambridge Analytica. La conferenza non era aperta ai media, ma due testimoni hanno ricostruito per noi quello che è successo.
«Una persona che ha spiegato di aver lavorato nella campagna di Ted Cruz ha rivolto questa domanda a Matt: “Avete utilizzato con noi la vostra metodologia e quindi sapete che non l’abbiamo trovata efficace, ma allora perché continuate a rivendicarne il merito? In più mi chiedo se l’avete utilizzata anche per la campagna di Trump». Matt ha sostanzialmente risposto dicendo che vi erano differenze di opinione su quanto la metodologia abbia aiutato Cruz, e che con Trump non era stata usata», ci ha riferito un testimone.
Brent Seaborn, esperto di tecnologie digitali della società Target Point, anche lui presente alla conferenza, ci ha fornito alcuni dettagli in più: «Secondo Matt una campagna come quella delle primarie è troppo breve per permettere alla comunicazione frutto di profilazione psicografica di avere l’impatto desiderato. Questo invece succede in una campagna di ’sviluppo del brand’ di più lungo termine, quando si possono influenzare le emozioni delle persone nel corso di un periodo di tempo più lungo».
Il comportamento degli elettori
Se dovesse ottenere il contratto dalla nuova amministrazione Trump, Cambridge Analytica avrebbe però tutto il tempo che ritiene necessario per provare l’efficacia della sua metodologia.
Funzionerà? «Senza dubbio gli elettori sono sensibili agli appelli emotivi, e i social media consentono comunicazioni interpersonali molto più dirette e quindi più efficaci delle tradizionali forme di comunicazione di massa», ci dice il professor Barrie Gunter, uno dei due psicologi ingaggiati da Mr Oakes nei primi anni 90.
Nel suo ultimo libro, “The Psychology of Consumer Profiling in a Digital Age” (Routledge Studies in Marketing), Gunter sostiene che «riuscendo a capire come i consumatori rispondono psicologicamente, e a classificarli di conseguenza, si può non solo confezionare il messaggio più efficace ma anche prevedere il comportamento che genera». Come i consumatori, anche gli elettori potrebbero dunque essere segmentati sulla base dell’approccio psicologico con cui elaborano le informazioni.
«Nei primi anni 80, io e Adrian abbiamo appurato che gli introversi rispondono in modo diverso dagli estroversi a immagini violente nei notiziari televisivi. Utilizzare informazioni di questo tipo è quindi possibile segmentare gli elettori e inviare messaggi diversi nella speranza di indurli a comportarsi in un certo modo. E con i social media c’è il vantaggio di poter monitorare le persone in modo continuo. Quanto questo consenta a una campagna politica di persuadere le persone a ’comprare il suo prodotto’, è ancora da vedere. Non abbiamo ancora sufficienti dati validati per stabilirlo».
Quello che è certo è che Nigel Oakes sa persuadere i soggetti più disparati ad acquistare i suoi servizi. E che la sua propensione alla millanteria non lo rende più innocuo. Le sue doti nell’adattare la realtà alle sue esigenze sono anzi un motivo in più per prenderlo sul serio. Soprattutto dopo che Donald Trump ha dimostrato al mondo intero quello che si riesce a fare quando si combina la millanteria più sfrenata con un uso altrettanto sfrenato dei social media.
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