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Trump ripiega sul fronte del fisco

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dopo la resa sulla sanità

Trump ripiega sul fronte del fisco

Manifestazione di protesta a Chicago contro l’abolizione di Obamacare
Manifestazione di protesta a Chicago contro l’abolizione di Obamacare

NEW YORK - La riforma fiscale sarà più facile. Il coro dei repubblicani, da Donald Trump al suo segretario al Tesoro Steve Mnuchin e ai leader del Congresso, si è levato convinto e all’unisono. Una voglia di riscatto per esorcizzare la cacofonia di voci che ha invece frantumato la maggioranza di governo e provocato la colossale debacle sulla sanità. Un coro forse ispirato ma prematuro: oggi anche la riforma fiscale per forgiare la Trump-economy appare più un miraggio che una realtà. Riscrivere la legislazione sulle tasse è così “facile” che nessuno a Washington ci è riuscito dal 1986. Sgravi o aumenti delle imposte sono scattate, ma grandi riforme si sono rivelate una partita ben più complessa, naufragata su interessi concorrenti. Una partita che la Casa Bianca e la leadership parlamentare conservatrice si apprestano a giocare con una “mano” già indebolita da una rara sconfitta all’appuntamento con la prima iniziativa legislativa voluta da un Presidente.

Le difficoltà cominciano dai preparativi: se il piano sanitario è stato rabberciato in fretta e furia producendo un documento che moderati e a conservatori hanno accusato di incompetenza, un piano sulle tasse ancora manca. Un’anteprima è stata promessa solo entro fine aprile. Non basta: il fallimento della riforma sanitaria lo azzoppa in partenza. Su questa i repubblicani e la Casa Bianca contavano per garantirsi margini di manovra fiscali: anticipava quasi mille miliardi di dollari in riduzioni alle imposte, ad aziende e sui redditi più alti, che finanziano Obamacare. E limava il deficit di 337 miliardi che potevano essere stornati per orchestrare ulteriori sconti senza far esplodere il disavanzo pubblico.

L’obiettivo di contenere il deficit non è solo una preoccupazione delle correnti più intransigenti tra i conservatori già mobilitatesi contro la sanità. La procedura parlamentare scelta per la proposta sulla tasse, la cosiddetta “reconciliation” possibile per i provvedimenti che influenzano il budget, è un fast track congressuale che permette di evitare super-maggioranze per arrivare al voto, soprattutto i 60 consensi su cento al Senato. In cambio i progetti non possono però “sfondare” il disavanzo almeno nell’intero arco del provvedimento. È anche una forzatura che crea un muro contro muro con l’opposizione, oggi i democratici, costringendo il partito di maggioranza a contare sulla compattezza dei propri ranghi. Rischia insomma di rendere vani gli appelli ai democratici, tanto quanto lo fanno i minacciati sforzi di Trump di sabotare adesso Obamacare attraverso ordini esecutivi.

Ma la compattezza repubblicana è nuovamente messa alla prova da quel che finora affiorato sulla riforma delle tasse. L’esempio più eclatante e intrattabile è la “border tax”, una tassa sull’import e a favore dell’export essenziale al finanziamento di qualunque altra riduzione delle aliquote, aziendali e non solo familiari. La border tax dovrebbe rastrellare almeno mille miliardi di dollari ma è avversata da metà della Corporate America, la metà che dipende da sofisticate catene internazionali di fornitori, oltre che da molti partner commerciali che la giudicano una mossa di protezionismo foriera di guerre commerciali.

Ridimensionamenti di questa misura potrebbero limitare gli sconti alle aziende, che si aspettano un taglio dell’aliquota al 15-20% rispetto all’attuale 35 per cento. Le aziende già pagano un’aliquota effettiva inferiore al 25% grazie a scappatoie che dovrebbero svanire con la riforma, quindi una legge annacquata deluderebbe Wall Street. Difficilmente altre risorse verrebbero inoltre reperite attraverso tagli al budget: la proposta avanzata dalla Casa Bianca massacra programmi sociali o di “soft power” quali la diplomazia, ma incrementando la spesa militare e di sicurezza interna anti-immigrazione e anti-terrorismo la matematica del deficit è un nulla di fatto. Alcuni dei tagli previsti ad esempio il risanamento della regione dei Grandi Laghi, potrebbero semmai non sopravvivere intatti al Congresso perché danneggiano stati disagiati governati da repubblicani.

«Avremo un piano sulle tasse molto presto», ha detto ieri Mnuchin. Ma molto presto, ha aggiunto, potrebbe essere l’autunno anziché l’estate. Ha promesso che la Casa Bianca sta lavorando su una rivoluzione, una «riscrittura dal nulla» delle imposte, che premi i ceti medi e non solo i più abbienti o le imprese. Le promesse, di sicuro, sono ancora tante.

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