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Le minacce della Corea del Nord e la pericolosa strategia di Trump

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kim: pronti ad attaccare

Le minacce della Corea del Nord e la pericolosa strategia di Trump

Carri armati nord coreani durante la parada del Giorno del Sole a  Pyongyang, il  15 aprile scorso  (ANSA/HOW HWEE YOUNG)
Carri armati nord coreani durante la parada del Giorno del Sole a Pyongyang, il 15 aprile scorso (ANSA/HOW HWEE YOUNG)

TOKYO - L'anniversario della fondazione delle Forze armate è passato senza che il regime nordcoreano lo celebrasse con un nuovo test missilistico o nucleare, ma solo con manovre militari intorno all'area di Wonsan. Se non accadrà nulla di eclatante anche oggi (Pyongyang aveva questo mese effettuato un test missilistico - fallito - proprio all'indomani delle parate per il “Giorno del Sole”), potrebbe profilarsi un periodo di relativo allentamento delle tensioni, vista l'ormai prossima fine delle annuali manovre militari congiunte tra le forze americane e sudcoreane, alle quali hanno cominciato a unirsi unità navali giapponesi (ieri con il destroyer Chokai ad affiancare l'americano “Fitzgerald” nel Mar del Giappone).

Anche se la portaerei Carl Vinson dovesse allontanarsi, la situazione promette comunque di restare allarmante, secondo molti analisti, in quanto sarà messa alla prova la strategia conclamata di Donald Trump, che appare di ardua realizzazione nel suo versante pacifico e pericolosa su quello minaccioso: in sostanza, il Trump-pensiero prevede che Pyongyang sia piegata da efficaci sanzioni cinesi e quindi indotta da una crisi economica a rinunciare ai programmi balistici e nucleari, come alternativa a un assalto militare Usa anche unilaterale.

«La Cina è davvero il salvagente economico della Corea del Nord: così, anche se niente è facile, se loro vogliono risolvere il problema nordocoreano, lo possono fare», ha twittato nei giorni scorsi Trump.

Senonché l'opinione generalizzata degli esperti è che Pechino potrà sì - come ha cominciato a fare da febbraio sospendendo l'import di carbone - limitare i suoi rapporti economici con il riottoso vicino (dipendente dalla Cina per almeno due terzi del suo commercio estero), ma nel limite dei suoi interessi strategici permanenti. A nessun Paese piacerebbe che il vicino si doti di un arsenale nucleare o lo rafforzi, mentre sarebbe poco saggio snobbare un Trump che ha promesso accordi economici migliori con la Cina se sul fronte della sicurezza internazionale si muoverà di più.

Ma portare al collasso il regime di Pyongyang rischia di favorire una unificazione coreana sotto l'egida di un Sud che probabilmente resterebbe alleato degli Usa. Mao, per non avere un confine di terra con truppe americane, mandò a morire molte centinaia di migliaia di cinesi intervenendo in una guerra il cui armistizio riguarda anche Pechino. Basti pensare che agli stessi turisti che da Seul vanno a visitare la zona demilitarizzata viene consegnato un foglietto che cita il Corpo dei Volontari cinesi (anche se non sono più nell'area): un attacco unilaterale Usa sarebbe dunque la violazione di un armistizio che coinvolge la Cina.

Se Trump sembra sottovalutare le concrete possibilità di un vasto conflitto nel caso ordinasse di attaccare la Corea del Nord, il suo approccio appare peraltro ottimistico sul fatto che l'economia possa cambiare la linea di un regime totalmente indifferente alle sofferenze della sua popolazione. Un paragone è quello con la casta militare giapponese nel 1945: senza l'intervento dell'imperatore, avrebbe continuato la lotta anche dopo Nagasaki e la dichiarazione di guerra russa, pur dando per scontata la morte di almeno altri 20 milioni di giapponesi.

Le dirette minacce di attacco e di “regime change” dell'Amministrazione Trump, insomma, potrebbero già aver persino rafforzato la volontà del leader Kim Jong Un di utilizzare la carta atomica o balistica come polizza di assicurazione per evitare di fare la fine di Saddam Hussein o Gheddafi (anche al prezzo di carestie, minore motorizzazione o rallentamento della macchina industriale).

Di sicuro le sanzioni internazionali non funzionano: la stessa Onu nei suoi rapporti l'ha in sostanza riconosciuto, sottolineando che sono applicate male e in modo “incoerente”. Lo stesso Kim, per inviare questo messaggio, ha inaugurato un nuovo distretto commerciale e residenziale a Pyongyang alla presenza di giornalisti stranieri.

La situazione nelle campagne non è chiara, ma non sembra paragonabile alle situazioni di carestia che hanno puntellato il regno del padre dell'attuale leader. Vari analisti ritengono che se la Cina tagliasse i rifornimenti di petrolio l'economia nordcoreana andrebbe in tilt. Sono emerse negli ultimi giorni indicazioni secondo cui i prezzi dei carburanti a Pyongyang sono quasi raddoppiati, forse per le voci di un possibile giro di vite cinese.

I media nordcoreani hanno cominciato a mostrare irritazione verso Pechino. Il rischio è sempre quello: far infuriare il regime senza fargli cambiare linea, in quanto pensa più alla sua sopravvivenza che alla sua popolazione.

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