L’Italia si prepara a chiedere formalmente la correzione della direttiva Brrd, che ha introdotto il bail-in, per limitarne l’effetto retroattivo. La modifica prende la forma di un emendamento da presentare al Parlamento europeo, assieme ad altri già proposti nelle scorse settimane, in occasione della fase di revisione della Brrd ora in corso a Bruxelles. L’emendamento prevede di stralciare dalla categoria degli strumenti finanziari assoggettabili a bail in (e quindi trasformabili da debito in capitale della banca) i bond senior emessi dalle banche italiane prima del 2016 e di importo limitato (probabile che si fissi una soglia a 100 mila euro). Una misura, dunque, volta a proteggere i risparmiatori che avevano acquistato strumenti con una categoria di rischio limitata e che, in virtù della retroattività del bail in, da un giorno all’altro si sono ritrovati in mano una sorta di bomba finanziaria a orologeria.
L’iniziativa dell’Abi
L’iniziativa è stata assunta dall’Associazione bancaria italiana e la proposta è già stata sottoposta a tutti i soggetti interessati: al ministero dell’Economia, alle altre associazioni come Federcasse e Assopopolari, alla Banca d’Italia oltre che agli interlocutori della Commissione europea. Ma non è da escludere che questa volta sia stata coinvolta anche la Consob. Proprio il presidente Giuseppe Vegas, in occasione della sua ultima relazione al mercato lo scorso 8 maggio, aveva chiesto una misura correttiva sul bail in proponendo di esentare i bond entro i 100 mila euro, ricordando come la retroattività di quella norma comunitaria presenti profili di incostituzionalità.
Le altre proposte
L’iniziativa dell’Abi va a integrare le altre proposte di modifica già avanzate dall’industria bancaria e anche dal Mef. Tra queste proposte c’è la richiesta di prevedere una fase di “adattamento” (grandfathering) delle banche italiane all’introduzione del Mrel. Quest’ultimo, in estrema sintesi, è un nuovo requisito (che entrerà in vigore dal primo gennaio 2019) che stabilisce per ogni singola banca una soglia minima di strumenti finanziari di cui l’istituto deve disporre per affrontare una eventuale procedura di risoluzione. Oltre al capitale, la graduatoria degli strumenti che devono essere coinvolti in una risoluzione prevede i bond subordinati e, in base alla proposta di modifica avanzata dalla Commissione Ue per il requisito Mrel («fast track»)e sulla quale si discute ora a Bruxelles, una nuova categoria di bond “non preferred” da aggredire prima di bond senior e depositi oltre 100 mila euro (queste ultime categorie resterebbero fuori dal requisito Mrel). L’Abi ha proposto che, nella fase transitoria, i bond senior emessi dalla banche italiane (almeno fino a tutto il 2016) possano essere conteggiati a fini Mrel (e dunque essere equiparati per un periodo limitato ai “non preferred”). Il senso del grandfathering è quello di non costringere le banche italiane a doversi precipitare a emettere i nuovi bond “non preferred” tutte assieme: poiché si tratta di strumenti pensati per la risoluzione, dovranno avere inevitabilmente un rendimento più elevato. Più se ne collocano contemporaneamente, più il costo sale per gli istituti di credito.
Abi: incostituzionale il principio della retroattività
L’Abi, però, ha sempre ritenuto incostituzionale il principio della retroattività (come dichiarato nelle audizioni parlamentari). Per questo motivo, in questa fase di revisione, proporrà di esentare dalla procedura di risoluzione i bond emessi prima del 2016 e di importo limitato. Va ricordato, comunque, che sinora il bail in non è mai stato applicato in Italia: i risparmiatori (titolari di bond subordinati) coinvolti nella crisi delle 4 banche sono stati assoggettati alla regola del burden sharing. Va inoltre detto che più ci si allontana dal primo gennaio 2016, più la retroattività del bail in attenua la sua pericolosità. I bond bancari hanno una durata media di 5 anni, per cui si può dire che entro il 2020 saranno scaduti tutti quelli emessi prima dell’entrata in vigore della direttiva Brrd.
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