La politica di difesa europea è un po' come un bambino che sta passando dai primi, timidi passi a un’andatura più svelta e decisa. Il tutto avviene sotto gli occhi vigili dei due genitori, la Germania e la Francia. L’Italia, invece, osserva da lontano, in disparte. «Siamo da sempre a favore di un’Europa della difesa - ricorda Nathalie Tocci, direttore dell'Istituto Affari Internazionali e Special Advisor della rappresentante della Ue per gli Affari esteri e vicepresidente della Commissione europea Federica Mogherini -. Ciò detto, in una fase come quella attuale caratterizzata dal consolidamento dell’asse franco-tedesco, un maggiore attivismo italiano sarebbe benvenuto. L’incertezza a livello politico non aiuta».
Oggi a Bruxelles si riuniscono i ministri della Difesa in ambito Nato. Intervenuta all'incontro, Mogherini ha sottolineato che il rafforzamento dell'integrazione europea nella difesa non è in contraddizione con l'impegno nella Nato, e che con il Fondo per la difesa europea che intende mobilitare fino a 5,5 miliardi di euro l'anno «siamo pronti a contribuire alla nostra sicurezza collettiva globale con una Unione europea forte nella sua politica di difesa e sicurezza». Serve però una chiave di lettura per interpretare quanto sta accadendo. Eccola.
La settimana scorsa il Consiglio europeo ha dato il via libera alla Pesco, la Cooperazione strutturata in materia di difesa. È stato un passo in avanti sulla difesa comune?
Sono abbastanza convinta che ci sarà una Pesco: potrebbe vedere concretamente la luce entro la fine dell’anno.
Sarà solo un’operazione di facciata o avrà un’applicazione concreta?
Allo stato attuale è difficile dire quanto la questa politica sarà ambiziosa.
Perché? Chi è a favore e chi contro?
In passato la proposta di una politica di difesa Ue è stata molto spinta dalla rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri Federica Mogherini e, tra gli Stati Membri, dalla Germania, che ha deciso di investire in maniera forte in questo settore.
Che cosa ha determinato la svolta di Berlino?
Credo che abbiano influito più fattori: la minaccia crescente alla sicurezza da parte del terrorismo di matrice islamica e dell'assertività russa, il dialogo non sempre facile con gli Usa, e la disponibilità di risorse economiche che Berlino ha e altri paesi europei non hanno.
Il sostegno tedesco alla difesa europea da solo può bastare?
Finché era solo la Germania la politica di difesa europea non era nelle condizioni decollare in maniera pienamente ambiziosa.
Che cosa è cambiato?
La vittoria di Macron alle elezioni presidenziali ha cambiato la posizione della Francia su questa questione. Mentre prima delle elezioni Parigi si muoveva con il freno a mano tirato, ora la linea politica su questo tema è più attiva e costruttiva.
Quindi a questo punto il percorso è in discesa?
Non proprio. Germania e Francia hanno posizioni diverse sui criteri e sugli impegni di una Pesco. La Germania vorrebbe inserire nella Pesco il maggior numero di partner Ue, a costo di un livello di ambizione più modesto. La Francia invece preme per dei criteri più stringenti, anche se il prezzo da pagare è un numero più ristretto di Stati, come ad esempio loro due più Italia e Spagna e pochi altri.
Dove siamo oggi?
Ho la sensazione che siamo più vicini al modello tedesco.
Come finirà il braccio di ferro tra Berlino e Parigi?
Uno scenario ideale, e allo stato attuale più che probabile, è quello di una politica di difesa europea che garantisca un livello di inclusività tale da non essere divisivo e allo stesso tempo sufficientemente ambizioso.
C’è il rischio che alla fine non si raggiunga un compromesso e che la difesa europea parli tedesco?
Per lanciare una Pesco servirà per lo meno una maggioranza qualificata tra gli Stati membri. Attualmente tutti sono favorevoli. Essendosi esposti in questa fase di rilancio del progetto Europeo non credo che gli Stati Membri, Francia e Germania in primis, si possano permettere un flop. In sintesi, il rischio non si può escludere, ma allo stato attuale credo sia contenuto. In ogni caso una politica di difesa Ue non potrà parlare solo tedesco per avere il sostegno di una maggioranza qualificata.
Che ruolo ricopre l’Italia in questa partita? L’asse franco tedesco l’ha relegata in una posizione defilata?
L’Italia è a favore di questo progetto e si è già fatta avanti con proposte a riguardo. Ma per scardinare o inserirsi nei radicati automatismi franco-tedeschi servirà un grado di attivismo e coinvolgimento maggiori.
La difesa europea è il primo caso di un’Europa che propone un modello di integrazione a più velocità, in linea con la dichiarazione di Roma del marzo scorso?
In realtà sarebbe il completamento di un'Europa a più velocità. In economia già abbiamo le due velocità: Eurozona e non. Nelle questioni di giustizia e affari interni, già abbiamo Schengen e non. Solamente nell'ambito della sicurezza e della difesa le due velocità non esistono ancora, ma sono previste nei trattati (appunto la Pesco).
In quali teatri o aree potrebbe trovare applicazione la Pesco? L’Africa settentrionale e in particolare la Libia? I Balcani?
La difesa europea riguarda una serie di impegni, dagli investimenti comuni, allo sviluppo o l’acquisizione congiunta di capacità militari, alla creazione di capacità operative come una forza multinazionale. Dove e come verranno dispiegate queste capacità dipenderà dagli scenari futuri.
Si rischiano sovrapposizioni con la Nato?
Assolutamente no. La Pesco permette agli Stati Membri che vi parteciperanno di fare il salto di qualità sulla difesa comune attraverso una cooperazione strutturata. Le migliori capacità che ne deriveranno continueranno ad essere “proprietà” degli Stati Membri. 22 (21 post Brexit) di questi Stati sono anche alleati Nato. Ergo un’Ue più “capace” in ambito difesa non può che giovare anche all’Alleanza Atlantica.
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