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Dossier Germania al voto, l'ultradestra in rimonta vede il terzo posto

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    Dossier | N. 11 articoliLa Germania al voto

    Germania al voto, l'ultradestra in rimonta vede il terzo posto

    Una manifestazione di Alternative fur Deutschland
    Una manifestazione di Alternative fur Deutschland

    FRANCOFORTE - I comizi di AfD, Alternativa per la Germania, il partito anti-euro e anti-immigrati che ha buone probabilità di uscire dalle elezioni federali di domani come terza forza della politica tedesca, sono eventi stranamente di basso profilo per un movimento estremista e di protesta. La presenza di polizia è massiccia, ai margini si fa sentire qualche contromanifestante della sinistra alternativa, i cartelli sembrano diretti più contro il cancelliere Angela Merkel («Fuori!», «Traditrice») che a propagandare le idee del partito, «nazionaliste e xenofobe, con latenti istinti neo-nazisti», come le ha definite “Handelsblatt”, il quotidiano dell’establishment economico. La platea è composta a larga maggioranza di uomini (che, secondo un’indagine del centro studi di Berlino Diw, costituiscono quasi il 70% dei suoi sostenitori). Gli attivisti riservano invece le proteste più vivaci per i comizi della signora Merkel, fischiata anche ieri a Monaco di Baviera e alla quale qualcuno l’altra settimana ha tirato dei pomodori.

    “La platea è composta a larga maggioranza di uomini, quasi il 70% dei suoi sostenitori.”

     

    Lei, come fa sempre con l’opposizione, ha deciso per lo più di ignorarli, sia per i pomodori, sia per le idee politiche. Non è detto che la tattica in questo caso funzioni: gli ultimi sondaggi danno AfD fra l’11 e il 12%, sotto il picco del 15 toccato l’anno scorso, ma in netto recupero rispetto ai consensi in cifra singola anche solo di poche settimane fa. È possibile inoltre, come è avvenuto nelle regionali dei mesi scorsi, che i sondaggi sottovalutino la forza di AfD, in quanto gli interpellati non vogliono esprimere pubblicamente l’appoggio alla destra estrema.

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    Qualche osservatore ritiene che il regalo più grosso gliel’abbiano fatto la stessa Merkel e il suo principale rivale, il socialdemocratico Martin Schulz, trovandosi a grandi linee d’accordo nell’unico dibattito televisivo e mettendo a lungo al centro della discussione il vero cavallo di battaglia di AfD, l’immigrazione. Nei suoi comizi, il cancelliere liquida il problema in tre frasi: ringrazia i volontari che si prodigano su questo fronte, sostiene che il 2015, quando arrivò un milione di rifugiati, non può e non deve ripetersi, e afferma che chi resta deve rispettare le leggi tedesche. AfD batte invece costantemente su questo tasto, che crea nell’opinione pubblica un disagio irrisolto, nonostante il calo degli arrivi nell’ultimo anno e i primi risultati della politica di accoglienza.

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    Così AfD si avvia al voto pressoché sicuro di essere il primo partito di estrema destra a entrare al Bundestag dal 1950, occupando lo spazio lasciato libero dallo spostamento al centro o addirittura al centro-sinistra dal cancelliere. Ed entrerà con un gruppo nutrito di deputati, che secondo le ultime proiezioni potrebbe superare l’ottantina. La sua forza è inferiore a quella di movimenti analoghi in altri Paesi europei, ma fa scalpore, per ragioni storiche, perché si tratta della Germania. E perché il partito, nato solo quattro anni fa come opposizione economica ai salvataggi dei Paesi del Sud Europa, si è spostato progressivamente, per faide interne, su posizioni più estremiste.

    La strana coppia che lo guida alle elezioni, il vecchio ex democristiano (come molti suoi supporter) Alexander Gauland, che fu già protagonista della causa alla Corte costituzionale contro il piano anti-crisi di Mario Draghi, e la giovane ex banchiere d’investimento Alice Weidel, non si è fatta scrupolo di affermare l’uno che la responsabile del Governo per l’integrazione, di origine turca, andrebbe «eliminata» in Anatolia e l’altra che al Governo ci sono dei «maiali, fantocci delle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale». Gli accenti nazionalisti non dovrebbero stupire: secondo uno studio di tre economisti dell’Università di Monaco, pubblicato dal portale vox.eu, AfD ha avuto il maggior successo nelle elezioni regionali (dove è entrata in 13 Parlamenti locali su 16) nei Comuni dove negli anni 30 era più forte il sostegno ai nazisti. Un dato inquietante che, dicono gli autori (fra cui l’italiano Davide Cantoni), suggerisce che la persistenza storica, insieme a uno spostamento importante nel panorama politico tedesco, spiega l’ascesa del populismo di estrema destra.

    AfD è riuscita anche a mobilitare molti non votanti delle precedenti consultazioni, o a coagulare elettori di vari partitini di protesta. E fa da collettore degli esclusi dalla globalizzazione e dal successo dell’economia tedesca, che si sentono dimenticati dai partiti tradizionali. Il 29% dei suoi sostenitori viene dalla più povera Germania Est (contro il 19% degli elettori totali), in competizione con l’estrema sinistra della Linke, e un altro zoccolo duro dalle ex roccaforti dell’industria pesante all’Ovest, dove ha sottratto consensi anche alla Spd. Secondo il centro studi Diw, la maggioranza ha un livello di istruzione inferiore alla media e appartiene ai lavoratori non qualificati e descrive le proprie condizioni economiche come «cattive» o «pessime».

    Se i comizi di AfD sono sotto tono, salvo la presenza di qualche naziskin, i suoi sostenitori sono attivissimi su Twitter: secondo il progetto dell’università di Oxford, Computational Propaganda, la presenza su Twitter e su Facebook è largamente superiore a quella di tutti gli altri partiti. Ed è molto aggressiva. Si avvale tra l’altro della consulenza di Vincent Harris, un guru dei social media che ha assistito la campagna presidenziale di Donald Trump negli Stati Uniti. In Germania non basterà a vincere, ma certamente darà un bello scrollone alla politica tedesca fin dalla prima seduta del Bundestag, un mese esatto dopo le elezioni, dove AfD è decisa a fare rumore.

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