Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza in tutta la Catalogna per protestare contro le violenze della polizia spagnola domenica contro i seggi del referendum per l’indipendenza. Le manifestazioni più importanti si sono svolte ovviamente a Barcellona. Ma ci sono state concentrazioni ovunque. Ci sono stati momenti di tensione davanti alle sedi della Policia Nacional a Tarragona, Girona e in Via Laietana a Barcelona, protette da cordoni della polizia regionale catalana. La gente ha gridato «fuori le forze d'occupazione!». In alcuni comuni ci sono state proteste contro gli alberghi che ospitano agenti della polizia spagnola, di cui viene chiesta la partenza. Anche questi alberghi sono protetti da cordoni di poliziotti catalani, i Mossos d'Esquadra. In un albergo, stando a immagini diffuse da Tv3, gli agenti spagnoli hanno risposto dall'interno con cori da stadio «España, España!». (Ansa)
Dall’inviato Luca Veronese
BARCELLLONA - La Generalitat è pronta a dichiarare in modo unilaterale l’indipendenza della Catalogna già nei prossimi giorni, ma da Barcellona non esclude del tutto la possibilità di riaprire il dialogo con Madrid e torna a chiedere la mediazione internazionale per trovare una soluzione alla crisi. Mentre il governo di Mariano Rajoy continua a offrire dialogo «nel rispetto della legge» e assicura che reagirà «con le misure che si renderanno necessarie». Il giorno dopo il referendum per l’indipendenza la spaccatura tra Barcellona e Madrid sembra essere ancora più profonda e ormai definitiva. La mobilitazione di milioni di catalani in aperta sfida al governo nazionale, alle leggi spagnole e alle sentenze della Corte Costituzionale era ampiamente annunciata e prevista.
Ma la risposta violenta delle autorità nazionali, le cariche della polizia spagnola contro i catalani davanti ai seggi hanno fatto rivivere, con tristezza e stupore, immagini e sensazioni che in Spagna sembravano scomparse con la fine della dittatura e della repressione franchista.
«I cittadini catalani si sono guadagnati il diritto di vivere in uno Stato indipendente in forma di Repubblica», ha detto il capo della Generalitat, Carles Puigdemont. «Il referendum è valido e per noi vincolante e quindi - ha continuato il governatore della regione - siamo obbligati a prendere decisioni politiche conseguenti». Puigdemont non si è spinto ad annunciare la dichiarazione di indipendenza che verrà presa in considerazione dall’Assemblea catalana mercoledì, in base ai risultati del referendum. «Dobbiamo riflettere», ha spiegato, lasciando uno spiraglio per una soluzione negoziata. «Serve - ha detto Puigdemont - una mediazione a garanzia dei nostri diritti e questa mediazione per essere efficace non può che essere attuata da un soggetto internazionale. L’Unione europea non può continuare a guardare dall’altra parte: questa è una questione europea, non è più solo spagnola».
La risposta di Bruxelles ha tuttavia, ancora una volta, lasciato molta delusione negli indipendentisti catalani. Pur affermando che «la violenza non può mai essere uno strumento di politica», la Commissione Ue ha ribadito ufficialmente che la crisi catalana «è un problema interno spagnolo», che per la Costituzione spagnola il referendum è illegale» e che senza il consenso della Spagna «un territorio che decide di separarsi si metterebbe anche fuori dall’Unione europea».
Sono quasi 900 i manifestanti rimasti feriti negli scontri con la polizia, due di loro sono gravi. La disobbedienza dei Mossos d’Esquadra, gli agenti della polizia regionale, che si sono rifiutati di intervenire e si sono schierati di fatto per il referendum, ha evitato ulteriori violenze e ha mostrato che la Catalogna è già altro rispetto alla Spagna: nella gestione del potere sul territorio, e non solo nelle rivendicazioni e nelle aspirazioni. A caricare gli attivisti della secessione sono stati invece gli oltre 10mila agenti della Guardia Civil, la polizia nazionale, che hanno militarizzato le città della Catalogna per bloccare il referendum già all’alba di domenica.
Il bollettino di una delle giornate più tristi e difficili della storia democratica spagnola mette in secondo piano i risultati del referendum stesso. Gli organizzatori hanno conteggiato 2,2 milioni di schede pari al 42% dei 5,3 milioni di catalani iscritti nelle liste. Con il Sì all’indipendenza vicino al 90% dei consensi con oltre due milioni di voti. Ma le operazioni di voto si sono svolte in modo improvvisato e poco trasparente: chiunque avrebbe potuto votare, anche più volte.
«Non vogliamo una rottura violenta. Vogliamo un nuovo accordo con lo Stato spagnolo», ha detto ancora Puigdemont. Ma Barcellona e Madrid non si parlano da mesi, forse da anni. E oggi Barcellona sarà di nuovo nel caos per lo sciopero annunciato dai sindacati vicini al fronte secessionista (ma non appoggiato dai grandi sindacati nazionali).
Per Rajoy il referendum è stato «una farsa», anzi «non è mai esistito». Il premier spagnolo si è detto disposto a discutere con Barcellona solo nel rispetto della Costituzione spagnola e quindi escludendo che si possa arrivare a un nuovo referendum, questa volta concordato e legale, che metta in discussione lo «Stato uno e indivisibile». Rajoy ha incontrato i leader dei partiti che sostengono il suo governo - Socialisti e Ciudadanos - mentre i suoi ministri hanno risposto a Puigdemont compatti. «L’indipendenza della Catalogna non avrà luogo», ha detto il responsabile dell’Economia, Luis de Guindos. «Useremo tutta la forza della legge. C’è l’articolo 155. Abbiamo il dovere di risolvere i problemi e lo faremo per quanto ci possa dolere usare determinate misure», ha confermato il ministro della Giustizia spagnolo Rafael Català ricordando che secondo la Costituzione, il governo spagnolo può commissariare la Generalitat e annullare ogni forma di autonomia della Catalogna. È ancora questa la più probabile evoluzione dello scontro tra Madrid e Barcellona.
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