A Tokyo è stato tutto piuttosto facile per Donald Trump, che ha definito più forte che mai l’alleanza con un Giappone che non gli fa obiezioni e ha mostrato di approvare in anticipo qualunque cosa deciderà di fare. Ma in Corea del Sud, dove è arrivato oggi, la musica è diversa: già dallo scorso weekend 220 organizzazioni della società civile hanno organizzato proteste contro di lui e stasera è prevista una grande veglia a lume di candela nel centro di Seul contro i venti di guerra alzati dai discorsi aggressivi del presidente americano.
Se il premier giapponese Abe ha detto di esser al 100% sulla linea di Trump - secondo cui con la Corea del Nord c’è sul tavolo anche l’opzione militare- il presidente sudcoreano Moon Jae-in la pensa diversamente tanto più che in caso di conflitto molti centri studi prevedono un numero spaventoso di vittime a Seul e dintorni. E da queste parti molti sono stati offesi e inorriditi dalle rivelazioni estive di un senatore americano, Lindsey Graham, secondo cui Trump avrebbe detto: se ci saranno vittime, saranno «lontano giù di là, non qui da noi». Più in generale, i sudcoreani si sentono «trascurati»: il tema del «Korea-passing» è stato molto dibattuto sui media, a fronte di un atteggiamento di Trump che sembra dare più importanza a Cina e Giappone anche nel trattare i problemi della penisola.
Niente visita alla Dmz
A differenza dei suoi predecessori, Trump non va nella zona smilitarizzata al confine in realtà più militarizzato del mondo: ha preferito recarsi a Camp Humphreys, l’enorme caserma-città a sud di Seul che ospita parte dei 28mila soldati americani nella penisola ed è diventata la maggiore struttura dell’esercito americano all’estero (dopo una espansione pagata quasi tutta dai sudcoreani). Diverse le interpretazioni sui motivi: fonti americane hanno riferito che ormai la visita alla Dmz stava diventando troppo scontata, per altri è stata la parte sudcoreana a fare resistenze, nel timore che un discorso infiammato di Trump al confine potesse essere controproducente.
Si tratta della prima «visita di Stato» di un presidente Usa a Seul da 25 anni (quella precedente fu di George H.W. Bush nel 1992). Domani il suo atteso o temuto discorso all’assemblea nazionale sudcoreana, prima della partenza per la Cina Moon Jaen-in ha vinto le elezioni, anticipate dallo scandalo politico-affaristico che ha travolto l’ex presidente Park Geun-hye (destituita e finita in carcere), proprio su una piattaforma di ricerca di una distensione con Pyongyang: ovvio che il suo obiettivo principale sia ottenere assicurazioni più o meno esplicite che un attacco americano non avverrà mai senza il suo consenso. In un tweet alla partenza da Tokyo, Trump l’ha definito un «fine gentleman».
Riavvicinamento Seul-Pechino
La settimana precedente l’arrivo di Trump è stata caratterizzata da un inatteso ravvicinamento tra Seul e Pechino, i cui rapporti erano diventati tesi a causa delle decisione di installare l’avanzatissimo sistema antimissilistico americano Thaad (considerato dai cinesi una minaccia ai loro interessi di sicurezza nazionale). La Cina metterà fine al semi-boicottaggio economico nei confronti dell’economia sudcoreana.
Secondo precise indiscrezioni, dietro la distensione ci sono accordi secondo cui Seul non espanderà il Thaad rispetto alle attuali dimensioni non ottimali, non aderirà mai a una alleanza militare a tre con Giappone e Usa, non si unirà ad altri progetti missilistici americani. Intese segrete sono state smentite, ma lo stesso Moon ha parlato di un «bilanciamento» tra Pechino e Washington. E ha escluso del tutto una futura alleanza con il Giappone: Seul è alleata solo degli Usa.
La questione Korus
L’altra questione principale in agenda nei colloqui di oggi tra Trump e Moon è quella commerciale: il presidente americano ha preteso di rinegoziare il Korus, l’accordo bilaterale di libero scambio che ha cinque anni di vita e che a suo parere è troppo sbilanciato in favore della controparte.
Intanto tre portaerei americane a propulsione nucleare incrociano nella regione. Pyongyang, comunque, non ha effettuato nuove provocazioni dal 15 settembre scorso, quando lanciò un secondo missile sopra il Giappone.
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