Un discorso muscolare ma anche alato, con fin troppa insistenza sulla tragica situazione dei diritti umani in Corea del Nord: Donald Trump – dal podio dell’Assemblea nazionale sudcoreana – ha lanciato a Pyongyang un monito molto severo, pur invitando il regime a venire al tavolo dei negoziati per cercare di raggiungere un accordo. «Non sottovalutateci. Non sfidateci» (letteralmente “non provarci” ndr), ha detto, sottolineando che la sua è una linea diversa da quella della precedente Amministrazione, e interpretarla come debolezza potrebbe costituire un «fatale errore di calcolo».
Assicurando di non poter tollerare che le città americane siano minacciate e che non si farà intimidire, ha anche fatto un appello a tutte le «Nazioni responsabili» – tra cui, citate esplicitamente, Cina e Russia – perché neghino al regime ogni forma di «supporto, fornitura o accettazione»: «Il mondo non può tollerare le minacce di un regime-canaglia che lo minaccia di devastazione nucleare».
Rivolgendosi al leader Kim Jong Un, ha detto che «le armi che stai acquisendo non ti rendono più sicuro, ma mettono in grave pericolo il tuo regime». Buona parte dello speech, comunque, è stata dedicata sia alle memorie della guerra di Corea (1950-1953) sia alla messa in luce del contrasto tra le conquiste della Corea del Sud e il disastro economico e umano del Nord sotto un regime dittatoriale e ultrarepressivo.
Mancata visita alla DMZ
La mattina di oggi era iniziata con una sorpresa: Trump aveva deciso all’improvviso di recarsi nella zona smilitarizzata, ossia al confine più militarizzato del mondo, come avevano fatto alcuni suoi predecessori. Ma le avverse condizioni atmosferiche – in particolare la densa nebbia, è stato comunicato - hanno costretto l’elicottero presidenziale a tornare indietro dopo 20 minuti. Il discorso al parlamento è comunque iniziato con qualche ritardo.
Nella sua visita in Corea del Sud, fino a stamane Trump aveva evitato di dire cose che potesse suonare come un insulto per il leader nordcoreano KimJong Un (da lui in passato più volte ridicolizzato come «Little Rocket Man»). Ma il suo discorso all’Assemblea dovrebbe essere interpretato a Pyongyang comeirrispettoso e insultante, oltre che minaccioso, il che non contribuirebbe certo a indurli a sedersi al tavolo negoziale.
I parlamentari sudcoreani non avevano certo bisogno di sentirsi ripetere storie riportate da disertori del regime su torture, carestie, assassini. L’audience in realtà era globale e a questa audience Trump ha detto che la Corea del Nord «non è il paradiso sognato da tuo nonno (Kim Il-Sung): è un inferno che nessuno merita», un «culto militare», un Paese dove i bambini di coppie miste sono considerati impuri e magari uccisi (ha persino citato il caso di un bambino figlio di un genitore cinese).
Ventiquattro ore in Corea del Sud
Fino a tarda notte nel centro di Seul ci sono state dimostrazioni di protesta contro la visita di Trump, considerato come portatore di venti di guerra. Ma non mancavano gruppetti di sostenitori che anzi lo invitavano con cartelli a bombardare la Corea del Nord.
Il presidente sudcoreano Moon Jae-in ha espresso genericamente l’auspicio che la sua visita possa contribuire a una soluzione pacifica, ma ha anche affermato che Corea del Sud e Usa porteranno la loro cooperazione a «livelli senza precedenti». Trump, per essere più chiaro, ha evidenziato che – al pari del Giappone – Seul si appresta a comprare miliardi di dollari in armamenti sofisticati made in Usa. Si comincerà presto a discutere «working level» sulla possibilità per i sudcoreani di comprare sottomarini a propulsione nucleare, oltre a missili intercettori SM-3 e altri F-35.
Il Korus si rinegozia
Sul fronte commerciale, infine, Trump ha sottolineato che per lui è una priorità ridurre il deficit commerciale Usa, compreso quello da 27 miliardi di dollari con la Corea del Sud che considera in parte legato al Free Trade Agreement bilaterale di 5 anni fa. Un accordo che è stato «frankly quite unsuccessful and not very good» per gli Stati Uniti.
Le discussioni sulla revisione del cosiddettoKorus sono già iniziate a causa delle forti pressioni americane. Di buono, secondo gli esperti, c’è che Trump non ha usato la parola «termination» perl’intesa di libero scambio, lasciando spazio quindi per una ricerca consensuale di modifiche.
Le prossime tappe
Trump è già ripartito per Pechino, dove lo attende un cerimoniale regale alla Città Proibita. Ma la Cina di Xi Jinping sarà la tappa certamente più delicata del suo lungo viaggio asiatico, che lo porterà anche al vertice Apec in Vietnam (dove incontrerà anche Putin) e nelle Filippine. Come successo altre volte in passato, il destino della penisola coreana si deciderà non tanto a Seul o a Pyongyang, ma tra Washington e Pechino.
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