Una Bce più ottimista, quella che emerge dalla riunione di dicembre. È cambiato il giudizio sull’espansione del pil, e questo ha rafforzato la fiducia della banca centrale sulla possibilità che lo slancio dell’economia possa far tornare anche l’inflazione verso l’obiettivo del 2%. È un ottimismo molto cauto, che ha però modificato un po’ l’atteggiamento complessivo della Bce.
Orientamento immutato
Non è cambiato invece l’orientamento della politica monetaria né quel complesso di indicazioni sulle mosse future della banca centrale. In questo senso, la riunione e la successiva conferenza stampa del presidente Mario Draghi hanno tentato di rafforzare le aspettative create a ottobre con il prolungamento e la riduzione del quantitative easing, che durerà fino a settembre con un ritmo di acquisti di titoli in diminuzione da gennaio a 30 miliardi al mese dagli attuali 60 miliardi.
Un «forte» ritmo di crescita
L’enfasi sull’andamento di quella che è stata ormai definita un’«espansione» economica e non semplicemente una ripresa, è stata tanta. Il suo ritmo è «forte», spiega il comunicato introduttivo alla conferenza stampa: la crescita appare «solida e più ampia», con uno slancio «rafforzato». Anche le nuove proiezioni economiche dello staff segnalano prospettive decisamente migliorate: +2,3% la crescita prevista nel 2018, contro il +1,8% indicato a settembre, e + 1,9% quella del 2019 (contro l’1,7%). Per il 2020, alla sua prima stima, la proiezione punta all’1,7%. Sono investimenti e inflazione, in particolare, a dominare in queste correzioni .
Retribuzioni ancora molto lente
Con simili prospettive di crescita, «aumenta la fiducia che l’inflazione potrà convergere verso il nostro obiettivo». È la fede nella curva di Phillips, che lega la minore disoccupazione - effetto dell’espansione economica - ai prezzi, attraverso i salari. Sono proprio le retribuzioni, però a mancare all’appello: le nuove proiezioni segnalano migliori prospettive per l’inflazione solo nel 2018: +1,4% medio annuo, contro l’1,2% di settembre. I salari, anzi, rallenteranno nel 2019 all’1,9% annuo (a settembre si puntava a invece a un +2,3%), dal 2,1% del 2018.
Una maggiore tolleranza sull’inflazione?
Il punto di arrivo, nel 2020, è indicato nell’1,7% un livello di inflazione che Draghi in passato - quando era previsto per il 2019 - aveva definito come «insoddisfacente». In questa occasione, incalzato dai giornalisti, il presidente non ha voluto però ripetere questo giudizio: la valutazione dipenderà, ha detto, «da quanto sarà forte il percorso di convergenza verso l’obiettivo». In ogni caso, la fiducia di poter centrare l’obiettivo «è oggi maggiore di quanto fosse due mesi fa», ha detto più volte Draghi.
Allo stesso tempo il presidente non ha voluto precisare se i rischi sull’inflazione siano più orientati verso il basso o verso l’alto (o siano bilanciati). Il rischio di deflazione, ha invece ripetuto, è scomparso. «La probabilità che l’inflazione torni a livelli molto bassi - ha poi aggiunto - è diminuita. Oggi però non direi nulla al di là di questo». Troppo lento l’incremento delle retribuzioni...
Una nuova politica fiscale
Proiezioni così brillanti sulla crescita, piuttosto, hanno spinto la Bce a consigliare ai governi un nuovo obiettivo: non più quello di comporre entrate e spese pubbliche in modo favorevole alla crescita, ma quello di «ricostruire i cuscinetti fiscali», quelli da utilizzare nei momenti di difficoltà. «Questo è importante - spiega il comunicato introduttivo - nei paesi in cui il debito pubblico rimane alto». Impossibile non pensare anche all’Italia.
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