La fuga delle imprese dalla Catalogna, le pressioni dei grandi protagonisti dell’economia, i timori per il prolungarsi dell’incertezza politica e istituzionale, hanno spaccato il fronte indipendentista e stanno segnando tutta la campagna per il rinnovo del Parlamento in Catalogna. Si vota giovedì, non c’è più l’alleanza tra i conservatori e la sinistra, eterogenea ma cementata dal nazionalismo, che aveva portato Barcellona allo scontro frontale con Madrid. Mentre la calma fermezza del premier spagnolo Mariano Rajoy ha dato forza al fronte unionista e il commissariamento della Generalitat, per rispondere alla dichiarazione di indipendenza della giunta catalana, non ha incontrato opposizioni di rilievo e ha di fatto normalizzato la crisi.
Carles Puigdemont è fuggito a Bruxelles, per evitare l’arresto e l’imputazione per ribellione, ma resta alla guida di Junts per Catalunya: si presenta come «presidente legittimo della regione» ma nel suo partito tutta la vecchia guardia, legata al mondo bancario e imprenditoriale, si è spostata su posizioni più moderate mettendo da parte, forse per sempre, le velleità di secessione. Oriol Junqueras, leader irriducibile della Sinistra repubblicana resta invece in carcere ed è così diventato il vero riferimento di chi ancora crede nell’indipendenza di Barcellona dalla Spagna.
I sondaggi: indipendentisti in leggero vantaggio
La media degli ultimi sondaggi indica una sostanziale parità nei consensi e un leggero vantaggio nei seggi dei partiti indipendentisti, in un Parlamento molto frammentato. «La volatilità nel voto è molto evidente, si stimano che ci siano almeno un milione e mezzo di elettori indecisi. La rottura tra Puigdemont e Junqueras potrebbe far diventare Ciudadanos il primo partito. Ma nulla è scontato, il consenso può cambiare anche negli ultimi giorni a causa di una dichiarazione, un fatto di cronaca, una decisione di qualche giudice», dice Oriol Bartomeus, politologo e professore di Scienze politiche all'Università autonoma di Barcellona. «Tutti i sondaggi indicano tuttavia - aggiunge Bartomeus - che c’è un’enorme volontà di partecipare al voto. Circa il 90% dei catalani risponde che parteciperà sicuramente alla consultazione: sono percentuali mai viste in elezioni regionali catalane che fanno stimare una quota di votanti record che potrebbe superare l’80 per cento».
L’impatto economico dello scontro con Madrid
La Catalogna è lacerata, ci vorranno anni per una vera pacificazione. E le elezioni sembrano destinate a lasciare molte questioni irrisolte: i sondaggi descrivono scenari molto vari, con tutta probabilità dalle urne non uscirà una maggioranza chiara e omogenea. L’incertezza continua a spingere le imprese fuori dalla Catalogna: dal referendum del primo ottobre sull’indipendenza, sono oltre tremila secondo il Colegio de Registradores le imprese che hanno spostato la sede legale in altre regioni spagnole; dall’inizio di novembre mille società hanno trasferito anche il domicilio fiscale in altre zone del Paese. Il trasloco delle 62 maggiori imprese - da Sabadell a CaixaBank, Gas Natural, Abertis, Cellnex, Colonial, Catalana Occidente, eDreams, Cementos Molins - ha un impatto diretto sul Pil catalano di 11,5 miliardi, pari al 5,4% dell’intera economia catalana. E sono molto alti anche i costi indiretti - nel turismo, in termini di fiducia, nel clima economico generale - che la Catalogna sta pagando e pagherà a lungo. Senza contare le tensioni sociali aumentate inevitabilmente nella regione.
“Né gli unionisti, né gli indipendentisti sembrano avere la possibilità di conquistare i consensi che permetterebbero loro di avere la maggioranza assoluta”
Edoardo Campanella, Chiara Cremonesi e Valentina Stadler, analisti di UniCredit
E anche la Spagna subirà le ripercussioni dello scontro istituzionale: la Banca centrale ha confermato per quest’anno la crescita del 3,1% dell’economia spagnola; ma ha appena tagliato dello 0,1% le stime sul Pil del 2018 e del 2019 rispettivamente al 2,4 e al 2,1% indicando tra le cause «l’incertezza in Catalogna» oltre all’incremento dei prezzi del petrolio.
Dopo il voto, Parlamento spaccato?
I Popolari di Rajoy, così come i loro fedeli alleati di Ciudadanos, hanno basato la loro campagna sul rispetto della legalità, i Socialisti puntano ad essere il partito della riconciliazione. Meno netta la posizione di Catalunya en Comù, il movimento che si presenta assieme a Podemos e che sostenendo una soluzione concordata, con un referendum da organizzare dentro i limiti di legge, potrebbe mediare tra Madrid e Barcellona. Come scrivono gli analisti di Unicredit, Edoardo Campanella, Chiara Cremonesi e Valentina Stadler: «Né gli unionisti, né gli indipendentisti sembrano avere la possibilità di conquistare, nei prossimi giorni, i consensi che permetterebbero loro di avere la maggioranza assoluta. E così lo scenario più probabile è un Parlamento sospeso con un governo di minoranza nel quale il ruolo di Catalunya en Comù potrebbe essere decisivo».
Sullo sfondo delle elezioni resta la riforma, in senso ancora più marcatamente federalista, dello Stato spagnolo che permetta quindi di soddisfare, almeno in parte, le rivendicazioni indipendentiste. Ma Rajoy prima di avventurarsi in una modifica della Costituzione spagnola vuole avere i numeri e i seggi per tenere sotto controllo la Catalogna.
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