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Perché Trump può far scoppiare la «bolla delle banche centrali»

Il rapporto tra i mercati e l’amministrazione Trump è stato finora idilliaco. Dal giorno della sua vittoria nella corsa alla Casa Bianca Wall Street ha guadagnato il 34% aggiornando i massimi storici e facendo da traino a tutte le altre Borse mondiali. Gli investitori hanno evidentemente guardato al bicchiere mezzo pieno dei maxi-sgravi fiscali varati dalla nuova amministrazione più che a quello mezzo vuoto del rischio protezionismo.

È anche vero che se sulle tasse Trump è già passato dalle parole ai fatti, con il varo della riforma fiscale, sul tema del commercio finora si è mosso solo a colpi di misure spot come i dazi su lavatrici e pannelli fotovoltaici annunciati nei giorni scorsi. Oltretutto non si è vista per il momento alcuna seria contromisura da parte degli altri Paesi. Finché non c’è escalation che senso ha fasciarsi la testa? pensa evidentemente buona parte del mercato.

Il tema non andrebbe comunque preso sottogamba perché se questo scenario dovesse concretizzarsi c’è il rischio di serie ripercussioni sulla stabilità dei mercati finanziari. Questa almeno è l’opinione degli analisti di BofA Merrill Lynch che, in un recente report sul mercato dei bond, hanno indicato nel “protezionismo” e più in generale nel “populismo” uno dei fattori che potrebbero far scoppiare quella che loro, senza troppi giri di parole, chiamano la “bolla delle banche centrali”. Con questo termine gli analisti si riferiscono chiaramente all’ipervalutazione del mercato obbligazionario globale a seguito dei colossali acquisti (Quantitative easing) messi in atto dalle banche centrali negli ultimi dieci anni. Una strategia, quella dello stimolo monetario, che ha dato i suoi risultati visto che l’economia è in ripresa in tutto il mondo.

Come ogni cura che si rispetti anche quella monetaria necessita tuttavia di un’interruzione graduale per evitare effetti collaterali(ad esempio un’impennata incontrollata dei tassi). Non sono mancati negli ultimi anni episodi di volatilità inattesa ma nel complesso oggi le banche centrali hanno imparato che la strategia migliore per gestire questa transizione è quella di essere estremamente prevedibili. Per il momento questo equilibrio ha retto bene (la volatilità è ai minimi storici) ma le incognite sono dietro l’angolo.

Una di queste è sicuramente l’inflazione. Ed è qui che entra in gioco il protezionismo. Se la globalizzazione ha spinto al ribasso i prezzi (si pensi all’invasione di prodotti cinesi a basso costo) la guerra delle tariffe ha l’effetto opposto (i dazi fanno rincarare i prodotti importati costringendo chi li rivende ad aumentare i prezzi).

Il protezionismo può far salire l’inflazione. Non quella buona (l’aumento dei salari) ma quella cattiva (il carovita). Una spirale pericolosa perché potrebbe innescare un’ondata incontrollata di vendite sul mercato obbligazionario sull’aspettativa che le banche centrali, il cui obiettivo è prima di tutto la stabilità dei prezzi, mettano in atto la stretta monetaria prima del previsto.

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