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Stati Uniti, perché il deficit voluto da Trump si era visto solo in…

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dopo la riforma fiscale

Stati Uniti, perché il deficit voluto da Trump si era visto solo in guerra

(Afp)
(Afp)

Gli Stati Uniti sono entrati in guerra senza averlo detto a nessuno? Non solo abbiamo un Donald Trump che, in nome della sicurezza nazionale, ha annunciato tra le altre cose dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio, materie prime essenziali per l’industria bellica. Ora all’orizzonte della prima economia mondiale si profila un aumento del deficit federale mai visto in tempo di pace, che nel lungo periodo potrebbe rivelarsi rischioso per la stabilità finanziaria, non solo degli Stati Uniti.

UNA DINAMICA DEL DEFICIT USA VISTA SOLO IN GUERRA
(*) Previsioni
(Fonte: Bloomberg Finance e Deutsche Asset Management)

Guardate questo grafico, elaborato dagli analisti di Deutsche Asset Management: segue dal secondo dopoguerra in poi l’andamento del deficit federale (linea gialla) e quello del tasso di disoccupazione (linea scura). Come si può notare, le due linee tendono a muoversi nella stessa direzione sia quando salgono che quando scendono: logico, perché quando diminuisce il tasso di disoccupazione - come sta avvenendo ora negli Stati Uniti - normalmente si riduce anche la spesa pubblica.

Solo in tre occasioni le linee della disoccupazione e del deficit divergono vistosamente tra loro: durante la guerra di Corea (1950-53), durante l’escalation della guerra del Vietnam (1965-69) e, in modo plateale, oggi. È l’effetto della riforma fiscale voluta da Trump, con stimoli i cui effetti nel lungo termine sono tutti da valutare. «Al di là dei periodi di guerra, è praticamente senza precedenti vedere un aumento del deficit di questa portata in un momento in cui l’economia è vicina alla piena occupazione e cresce al di sopra del suo potenziale», nota Josh Feinman, capoeconomista Usa di Deutsche Asset Management. Nemmeno durante la presidenza Reagan, in cui venne varata l’altra grande riforma fiscale della storia statunitense, le traiettorie di deficit e disoccupazione avevano osato aprirsi a forbice come stanno facendo oggi.

Normalmente, infatti, in fasi del ciclo economico come quella che stanno vivendo gli Stati Uniti il deficit federale si riduce. Il disavanzo non a caso era sceso dal 9,8% del Pil del 2009 (dopo il crack di Lehman) al 2,4% del 2015. Ma poi, stranamente, ha ripreso a salire, al 3,2% e al 3,5% nei due anni successivi: le entrate avevano deluso un po’, il contenimento della spesa si era allentato e le pressioni a più lungo termine per agevolazioni e dinamica demografica hanno continuato a crescere. Così, secondo Deutsche Asset Management, quest’anno il deficit federale è destinato a salire al 4,25% del Pil e nel 2019 ad aumentare ancora al 4,75%.

Quali sono i rischi dell’accelerazione del deficit voluta da Trump? I pericoli di un’improvvisa crisi fiscale restano remoti per Paesi come gli Stati Uniti, che possono contrarre prestiti nella propria valuta. Il vero problema è un altro, spiegano gli analisti di Deutsche: più un Governo durante le fasi di piena occupazione prende a prestito, minori saranno le risorse disponibili per potenziare la produttività, con i tassi di interesse che intanto aumentano e la crescita del capitale sociale della nazione in rallentamento. Tutto questo limita lo spazio per gli stimoli fiscali durante le prossime fasi recessive. Che magari non sono poi così lontane.

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