
La sostituzione della “colomba” Rex Tillerson con il “falco” Mike Pompeo come Segretario di Stato Usa suscita diffusi timori di un irridigimento della politica estera statunitense, specialmente sugli spinosi dossier Corea del Nord e Iran. Anche gli investitori sui mercati asiatici hanno espresso qualche apprensione, come testimoniato oggi dal calo di quasi l'1% della Borsa di Tokyo.
Vari analisti ritengono che si stiano complicando i piani per un vertice tra il presidente Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un, atteso entro la fine di maggio. Dopotutto, da direttore della Cia, Pompeo alcuni mesi fa aveva fatto trapelare un orientamento severissimo nei confronti di Pyongyang, ipotizzando che lo scopo ultimo della politica americana dovesse essere un cambiamento di regime. Inoltre ha spesso parlato dell'opzione militare come una concreta possibilità per fermare i progressi del programma missilistico-nucleare nordcoreano, al fine di impedire che arrivi a minacciare direttamente l'intero territorio continentale Usa con missili dotati di testate atomiche.
Inoltre la recente dipartita di altri esponenti dell'Amministrazione orientati verso un dialogo – come Joseph Yun – e la carenza di personale esperto specializzato sulle questioni coreane suscita ulteriori dubbi sulla possibilità che il summit si faccia. Tuttavia ci sono anche interpretazioni in senso contrario: visto che Trump ha già manifestato un certo entusiasmo per la prospettiva di un faccia a faccia con Kim, la nomina a Segretario di Stato di un personaggio a lui molto vicino – anche se “falco” – avvicinerebbe la prospettiva del vertice.
Secondo il professor Kim Yeon-Chul della Inje Univerisity, per esempio, i recenti sviluppi sono stati determinati da contatti tra i vertici dei servizi segreti di Usa, Corea del Nord e Corea del Sud. Dall'inizio dell'anno Pompeo sarebbe stato in stretto contatto con il capo dell'intelligence sudcoreana Suh Hoon (che assieme al capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale è andato di recente a Pyongyang e ha poi raccolto e trasmesso l'invito di Kim Jong-un per un vertice). I due avrebbero quindi di fatto preparato il contesto per l'avvio di un processo negoziale.
Lo stesso ministro degli esteri giapponese Taro Kono, in una dichiarazione pubblica, ha sostenuto che la nomina di Pompeo non allontana il vertice Usa-Corea del Nord, in base alla più semplice delle considerazioni: la volontà positiva di Trump in proposito. Il Giappone sta ipotizzando la possibilità di un successivo vertice tra il premier Shinzo Abe e Kim.
Sullo sfondo, emerge un diffuso caveat: se poi il summit andasse male, Pompeo potrebbe rilanciare l'opzione militare. È questa, ad esempio, l'opinione di Mason Richey, docente di politica internazionale alla Hankuk University, secondo cui se il summit fallisse uno come Pompeo inclinerebbe maggiormente verso una posizione radicale per risolvere il problema nordcoreano.
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