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La Cina apre agli investitori esteri per evitare i dazi di Trump

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GUERRE COMMERCIALI

La Cina apre agli investitori esteri per evitare i dazi di Trump

Pechino cerca di disinnescare le tensioni commerciali con Washington e promette concessioni agli Stati Uniti, mentre dal G-20 di Buenos Aires arriva solo una dichiarazione di sostegno al commercio internazionale, immediatamente ridimensionata dal segretario al Tesoro Steven Mnuchin.

Il vertice dei ministri delle Finanze è stato dominato dalla “guerra dei dazi” e si è chiuso con un comunicato che sottolinea la necessità di «ulteriori negoziati e iniziative» sul commercio. «Scambi internazionali e investimenti sono importanti motori di crescita, produttività, innovazione, occupazione e sviluppo», recita il documento steso dopo due giorni di tensioni e negoziati. La nota richiama il comunicato del vertice di Amburgo, firmato anche dal presidente Usa Donald Trump nel luglio del 2017, nel quale si condannava il protezionismo. Salta però il riconoscimento del «ruolo degli strumenti di difesa commerciale contro le pratiche scorrette», che gli Usa volevano ribadire, per legittimare le proprie iniziative unilaterali. Ma a margine del vertice Mnuchin ha ribadito la linea della Casa Bianca: «Non abbiamo paura di una guerra commerciale», ha dichiarato.

I venti ribadiscono l’impegno a evitare svalutazioni competitive e aggiungono che «l’eccessiva volatilità o disordinati movimenti nei tassi di cambio possono avere implicazioni negative per la stabilità economica e finanziaria». Forse, una stoccata alle incaute dichiarazioni sul dollaro debole, fatte a gennaio proprio da Mnuchin, poi costretto a ritrattare dopo uno scossone sui mercati dei cambi e la dura condanna della Bce.

Il direttore generale dell’Fmi, Chistine Lagarde, ha ribadito l’appello a «evitare la tentazione di politiche di fare bene solo all’interno di una nazione e, piuttosto, a lavorare insieme per ridurre le barriere commerciali e risolvere disaccordi senza ritornare a misure eccezionali».

Tutti messaggi per Washington, che dopo i dazi su pannelli solari, lavatrici, acciaio e alluminio, venerdì si prepara ad annunciare tariffe su 60 miliardi di dollari di export made in China. Per scongiurare l’escalation, il premier Li Keqiang ha annunciato da Pechino che l’economia cinese sarà più aperta agli investitori esteri, senza più obbligarli a joint venture con partner locali. Nemmeno nel settore manifatturiero e nell’auto. Una concessione a una delle principali richieste degli Usa, che accusano la Cina di costringere le loro aziende a cedere segreti industriali e tecnologie, in cambio dell’accesso al mercato.

Durante la conferenza stampa di chiusura del Congresso nazionale del popolo, Li ha ribadito che la Cina non vuole una guerra commerciale e, sforzandosi di abbassare i toni, ha evitato di minacciare ritorsioni contro eventuali nuovi dazi Usa. In uno scenario di scontro totale, Pechino avrebbe al suo arco la freccia (o meglio il bazooka) dei 1.200 miliardi di dollari di titoli di Stato Usa in suo possesso. Il premier ha però voluto sgombrare il campo da questo scenario: «La Cina resterà un investitore responsabile di lungo termine».

Ieri, il commissario Ue al Commercio, Cecilia Malmstroem, è arrivata a Washington per discutere dell’esenzione dell’Europa dai dazi su acciaio e alluminio (entreranno in vigore venerdì). È stata preceduta dal ministro tedesco all’Economia Peter Altmaier. Per l’italiano, Pier Carlo Padoan, «la speranza è che Usa, Europa e Cina evitino di fare passi» che compromettano il commercio internazionale.

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