DAL NOSTRO INVIATO
BARCELLONA - La Catalogna ha scelto di insistere ancora nel processo di indipendenza dalla Spagna. I partiti del fronte secessionista hanno conquistato la maggioranza con 70 seggi sui 135 del Parlamento catalano. In un voto decisivo per il futuro della regione la Catalogna si è spaccata in due ma gli elettori hanno confermato la fiducia nel blocco dei partiti che ha guidato Barcellona allo scontro frontale con Madrid e che sembrava essersi sfaldato dopo l’intervento del governo di Mariano Rajoy che per contrastare la ribellione nazionalista aveva azzerato le istituzioni catalane prendendo direttamente il controllo la Generalitat.
Il premier Rajoyha preso atto del voto, pienamente legale a differenza dell’ultimo referendum, e promesso che il commissariamento della Catalogna
scattato con l'attivazione dell'articolo 155 della costituzione sarà revocato quando sarà stato formato un nuovo governo catalano. «Sono disposto a incontrare Rajoy ma non in Spagna», ha detto dal canto suo l’ex presidente della Catalogna Carlos Puigdemont, fuggito a Bruxelles per sfuggire all’arresto. «Tornerò in Catalogna - ha aggiunto - se ci sono garanzie del rispetto della democrazia. Il governo spagnolo riconoscerà il risultato delle elezioni, che abbiamo vinto nonostante siano state condotte in modo atroce? Se rispetta la democrazia, torno domani stesso». Un’offerta rifiutata dal premier Rajoy, che pur si è detto pronto ad avviare una «nuova tappa» di «dialogo» con il governo che sarà formato in Catalogna ma che ribatte di dover piuttosto incontrare Ines Arrimadas, la capolista di Ciudadanos, «che ha vinto le elezioni». Ciudadanos è arrivato primo ieri, ma i partiti indipendentisti hanno la maggioranza assoluta nel Parlament pur perdendo voti e due seggi, fermandosi al 47,5 per cento.
Si confermeranno, però, alla guida del governo regionale, con il sostegno della Cup, la sinistra estrema, e sempre che sappiano ricomporre le divisioni che sono emerse in questa anomala campagna elettorale dominata dall’articolo 155 e dal commissariamento della Generalitat: Junts per Catalunya di Puigdemont avrà 34 seggi, la Sinistra repubblicana ne avrà 32 e la Cup solo quattro.
Affermazione (sterile) di Ciudadanos
Nel fronte unionista invece, a nulla serve la grande affermazione di Ciudadanos, il movimento nato per contrastare proprio le spinte secessioniste in Catalogna che diventa il partito più votato: la sconfitta durissima per i Popolari di Rajoy costringerà ancora gli unionisti all’opposizione con 57 seggi così distribuiti: Ciudadanos 37, Popolari 3 e Socialisti 17 nonostante un buon recupero. Fuori dai giochi Podemos che proponendosi come elemento di mediazione tra i due blocchi contrapposti perde consensi e ottiene solo 8 rappresentanti nell’Assemblea regionale. Altissima la partecipazione che ha sfiorato l’82% dei 5,5 milioni di catalani con diritto di voto. Il partito unionista Ciudadanos ha subito rinunciato ad avviare i contatti con le altre forze politiche per provare a formare il governo.
Vince dunque Carles Puigdemont, il governatore destituito e fuggito in Belgio per non finire in carcere con l’accusa di ribellione, che con Junts per Catalunya ottiene 34 seggi superando ogni previsione. E vince Oriol Junqueras, il leader della Sinistra repubblicana incarcerato da due mesi, che tuttavia con 32 seggi dovrà forse rinunciare alle ambizioni di guidare la nuova fase della sfida dei nazionalisti.
Puigdemont: «Monarchia sconfitta»
«Lo Stato spagnolo ha perso», ha detto Puigdemont nella notte da Bruxelles parlando ai suoi sostenitori in festa. «La Repubblica catalana ha sconfitto la monarchia spagnola e ha sconfitto l’articolo 155», ha aggiunto. «C’è stata una partecipazione record, storica, con un risultato che nessuno può mettere in discussione. Rajoy è stato sconfitto, ora servono una rettifica, una riparazione e la restituzione della democrazia», ha aggiunto.
Per gli indipendentisti è un successo insperato, la maggioranza in Parlamento è stata decisa da qualche migliaia di voti e dall’assegnazione di una manciata di seggi, si apre una fase diversa e per governare dovranno ricomporre le fratture interne: Puigdemont e Junqueras si sono candidati con due liste separate e hanno fatto campagna uno contro l’altro.
«Il fronte indipendentista aveva perso forza - dice Alberto Lopez Basaguren, professore di Diritto costituzionale all'Università dei Paesi baschi - perché non sapeva dove andare dopo il referendum sulla secessione del primo ottobre organizzato sfidando la legge spagnola e il governo di Madrid. Puigdemont mi sembra l'unico che continua a credere in questa illusione e non so quanto sia condivisa la sua insistenza dentro a Junts per Catalunya. Mentre la Sinistra repubblicana di Junqueras mi sembra orientata a cambiare strategia, facendo magari un passo indietro: cercando cioè di ritrovare consensi non sulla dichiarazione di indipendenza ma sul diritto a decidere: la richiesta di un referendum concordato e legale sarebbe certamente respinta con fermezza da Madrid ma potrebbe rimettere assieme molti catalani, anche moderati. La Sinistra repubblicana è sempre stata più realista».
Il peso dell’Europa
Il processo verso l’indipendenza è stato sì bloccato da Madrid ma è stato soprattutto messo in discussione dall’Europa e dalle imprese catalane. Gli indipendentisti hanno sperato a lungo e invano di ottenere da Bruxelles se non un appoggio almeno una proposta di mediazione. E ancora più grave è stato il loro errore nel sottovalutare l’impatto economico dello scontro con Madrid e i timori dei grandi gruppi bancari e industriali: sono più di tremila le società che hanno deciso di trasferire la sede sociale in altre regioni a partire dal referendum di inizio ottobre. Mentre si registrano forti cali nell'attività turistica e negli investimenti.
«La illusione di una secessione pienamente legale e pacifica, pura espressione di democrazia e ampiamente accolta dalla comunità internazionale, è svanita e l'indipendentismo in Catalogna deve comunque confrontarsi con la prospettiva - spiega Basaguren - di una lunga marcia, dura e dolorosa, con tutta probabilità destinata al fallimento. Quanto deve impoverirsi la Catalogna e quanto deve lacerarsi la sua società perché i catalani si rendano conto che le pretese indipendentiste sono una strada senza uscita?».
La logica delle contrapposizioni
Oriol Bartomeus, politologo e professore di Scienze politiche all’Università autonoma di Barcellona, cerca di andare oltre lo scontro e di analizzare senza facili generalizzazioni i due fronti. «Noi o loro. Unionisti o secessionisti. Due concezioni della Catalogna e della Spagna totalmente contrapposte, che si escludono che non ammettono mediazioni. Da anni la politica catalana si è ridotta a questo. Ma, a ben vedere, i blocchi - afferma Bartomeus - non sono così omogenei e solidi. C'è spazio per altro, la Catalogna deve andare oltre questa semplicistica contrapposizione». Ora Puigdemont e Junqueras dovranno dimostrare di avere una strategia per utilizzare al meglio la fiducia e la maggioranza che gli elettori catalani hanno loro confermato.
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