A Bruxelles si lavora a pieno ritmo per definire la proposta del Quadro finanziario pluriennale (Qfp) post-Brexit 2021-2027. Alla ricerca di nuove risorse proprie e di fronte alle nuove esigenze di bilancio e al “buco” creato dall’uscita della Gran Bretagna, la Commissione ha messo in fila le idee e oggi ne discute in collegio. In attesa che gli Stati membri decidano all’unanimità a quali fonti di finanziamento attingere, quattro sono le ipotesi sul tavolo: il “signoraggio” della Bce e delle banche centrali, un’imposta sulle società su una base imponibile comune consolidata, una parte dei proventi degli Stati membri sullo scambio delle quote di emissioni inquinanti e, infine, una «semplificazione e un adattamento» dell’Iva comunitaria. Obiettivo di Bruxelles è anche quello di ridurre al minimo indispensabile i tagli alle politiche tradizionali dell’Unione, in particolare la politica di coesione, destinata alle regioni, e quella agricola che, insieme, assorbono più dei due terzi dell’intero bilancio europeo.
Le ipotesi sono contenute in una comunicazione della Commissione consultata dal Sole 24 Ore. Per i profitti derivanti dal «signoraggio» (i redditi delle banche centrali derivanti dall’emissione di moneta) si ipotizza un “prelievo” massimo del 50% che porterebbe le entrate a 56 miliardi di euro in sette anni, la durata del Qfp. L’ipotesi minima è del 10% con entrate per 10,5 miliardi. «Una logica simile è stata applicata al reddito generato dalla Banca centrale europea e dalle bance centrali nazionali con i bond greci nel 2012» quando l’Eurogruppo decise di traferire alla Grecia i profitti generati dai titoli di Stato greci detenuti dall’Eurosistema.
L’imposta sulle società presuppone una «base imponibile consolidata comune e armonizzata... possibilmente con una componente digitale». Il gettito, «a seconda del modello scelto e dell’aliquota applicata» è tra 21 e 140 miliardi di euro, «senza contare le entrate attese dalla riduzione dell’evasione fiscale». Questa strada «rafforzerebbe il legame tra i vantaggi del mercato unico, di cui beneficiano soprattutto le grandi società, e i finanziamenti Ue». Resterebbe inalterata la possibilità degli Stati membri «di tassare la propria quota di utili secondo l’aliquota nazionale».
Nessuna cifra si fa per l’Iva che oggi vale tra 105 e 140 miliardi in sette anni: entrate che «potrebbero essere migliorate adattando le aliquote in funzione dei livelli richiesti». Per lo scambio di quote di emissioni inquinanti, infine, la forchetta è larghissima: da 7 a 105 miliardi, a seconda dei prezzi di mercato. Per attingere ai profitti della Bce sarebbe necessaria una modifica dello statuto del Sistema europeo delle banche centrali, quindi del Trattato che richiede l’unanimità: tolta la quota che va al fondo di riserva generale (non più del 20%), il profitto netto della Bce deve viene distribuito ai detentori-azionisti, cioè le 19 banche centrali dell’eurozona. La strada della modifica allo statuto Bce, dunque, è impervia e poco percorribile. E in ogni caso, il dividendo 2017 tra acconto e saldo è stato di 1,275 miliardi di euro. I profitti più facilmente “aggredibili” per Bruxelles sarebbero quelli delle 19 banche centrali nazionali dell’Eurosistema, decisamente più elevati: la Banca d’Italia ha staccato un ultimo assegno allo Stato di oltre 2 miliardi. E la Bundesbank lo scorso febbraio ha reso noto di aver trasferito al ministero delle Finanze un utile di 1,9 miliardi.
Nella sostanza, la proposta che verrà discussa oggi dal collegio dei commissari, potrebbe rivelarsi una semplice partita di giro. Se si intervenisse direttamente sulle banche centrali nazionali, richiedendo loro di non distribuire i loro utili agli azionisti o agli Stati ma alla Ue, si andrebbe a incidere sulla loro indipendenza. Un atto che potrebbe sollevare un grande polverone. In alternativa, una norma europea potrebbe stabilire che le banche centrali nazionali trasferiscono i loro utili agli Stati ma gli Stati vi rinunciano per dirottarli sul budget Ue. Un percorso tortuoso, anche se è possibile sostenere la tesi che quegli utili provengono da un eurosistema e quindi sono già “europei” e che quindi possono restare in un ambito europeo e non solo strettamente nazionale.
Vi sono però anche altri limiti a questa proposta. Gli utili netti delle banche centrali sono variabili: la Bundesbank per esempio nel 2016 ne ha registrati per 1 miliardo, l’anno successivo per circa 2 miliardi. Gli acquisti dei bond nel QE, soprattutto i titoli di Stato, sono stati fatti spesso a prezzi sopra la pari e saranno rimborsati alla pari: resta da vedere quanto questo possa incidere sui profitti, che tuttavia a livello di banche centrali nazionali tengono conto anche della distribuzione delle cedole dei bond del QE.
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