New York - Uber alles. Sopra a tutto. Sarebbe il caso di parafrasare l'inno tedesco, questa volta, per un’azienda tutta americana chiamata Uber. Che ha visto i suoi risultati - almeno il giro d’affari - capaci di accelerare nonostante il retaggio della crisi d’immagine per una cultura di abusi e che ha portato a ribaltamenti al vertice e all’esonero del suo fondatore Travis Kalanich. E nonostante una tradizione finanziaria di perdite che non si è smentita neppure nell’ultimo trimestre. Il messaggio, tirate le somme, potrebbe diventare il seguente: la strada verso il coronamento del successo, uno sbarco in Borsa l'anno prossimo, non è affatto spianata.
Ma la promessa finora elusiva di arrivare a un collocamento a Wall Street della super-startup - la valutazione supera i 60 miliardi di dollari - rimane in carreggiata a dispetto dei passi falsi.
Il bilancio di Uber è cosa di men che automatica lettura. La corsa del servizio alternativo ai taxi è stata anzitutto nelle entrate che ha saputo dichiarare: le revenue nette, in particolare, sono balzate del 70% a 2,59 miliardi di dollari. Quelle lorde un po’ meno, del 55% a 11,3 miliardi. Una differenza spiegata dallo stesso modello di business di Uber, che abitualmente rastrella una commissione del 25% su ciascuna corsa. È, comunque sia, una marcia che ha battuto le previsioni interne dell'azienda e anche degli analisti esterni; più simile alle percentuali di una nuovissima azienda che di una veterana come lei, nata nove anni or sono e forte di 17mila dipendenti. Un paragone con Facebook può forse aiutare: a otto anni di età, prima di quotarsi, il fatturato trimestrale del re dei social network era cresciuto “solo” del 45 per cento.
Qui però si fermano gli entusiasmi. Altri numeri invitano a maggior cautela. Per rimanere nel paragone con Facebook, nella fase pre-quotazione la società macinava utili. Nulla di ciò per Uber, che continua a bruciare capitale neanche fosse Amazon prima maniera. I profitti nel primo trimestre dell’anno sono solo a prima vista impressionanti: 2,46 miliardi, ribaltando perdite di 847 milioni un anno fa. Peccato che abbiano giocato un ruolo cruciale discusse voci straordinarie per 3 miliardi legate alla cessione di attività nel sudest asiatico al rivale di Singapore Grab e una joint venture in Russia con Yandex dove mantiene una quota di minoranza. I risultati operativi hanno piuttosto mostrato tuttora una perdita di 577 milioni, seppur ridimensionata rispetto ai passivi degli ultimi quattro trimestri. Per l’intero anno scorso il gruppo aveva perso ben 4,5 miliardi, un abisso da colmare sulla strada di una stabile fiducia del mercato.
Uber, con la continua crescita, può far leva anche su una liquidità a disposizione che rimane solida al cospetto delle perdite, pari a 6,3 miliardi a fine marzo sostenuta da continui investimenti di grandi soci. A coronamento dell'ultima performance, Uber ha indicato un nuovo collocamento privato di titoli a quota 40 dollari per rastrellare tra i 400 e i 600 milioni di dollari e che porterà la valutazione del gruppo a 62 miliardi. Ad acquistare le azioni saranno due investitori attuali, Altrimer e Tpg, e un nuovo arrivato, Coatue management. Anche nel valore si tratta d’una accelerazione: l’anno scorso un investimento nel gruppo da parte di SoftBank, che ora ha una quota del 15%, lo aveva visto valutato 48 miliardi, anche se nel giugno del 2016 il valore era stato superiore all’attuale, pari a 66 miliardi. E c’è chi crede che la valutazione sia in realtà vicino ai 70 miliardi.
La riscossa, d’immagine e finanziaria, deve tuttavia superare ostacoli non solo sotto forma di cifre. Chiave di volta sarà la credibilità del management e delle sue strategie. È guidata oggi dal nuovo chief executive Dara Khosrowshahi, in carica dall'anno scorso e che si è impegnato a non rallentare la crescita. «Viste le dimensioni delle opportunità davanti a noi e l’obiettivo di trasformare Uber in una vera piattaforma per la mobilità - ha detto - intendiamo reinvestire ogni eccesso di performance ancora più aggressivamente e globalmente, sia nel core business che in scommesse quali Uber Eats», la piattaforma online di ordini e consegne da ristoranti. Alcune rischiose avventure appaiono però meno fortunate e in fase di ridimensionamento o revisione: nelle vetture self-driving ha appena chiuso i battenti delle sue operazioni in Arizona, due mesi dopo un incidente letale nel quale una vettura automatica di Uber ha travolto una donna a Tempe, e ha sofferto fughe di talento. Il nuovo Ceo ha inoltre per le mani ancora da completare la sfida del cambiamento al vertice: manca ancora all’appello un’intera squadra, un nuovo direttore finanziario, un responsabile della compliance e quattro membri del consiglio di amministrazione.
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