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Libia, accordo per il voto il 10 dicembre. Il parlamento torna a Tripoli

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la conferenza di parigi

Libia, accordo per il voto il 10 dicembre. Il parlamento torna a Tripoli

Se agli impegni seguiranno i fatti, nel volgere di sette mesi la tormentata Libia potrà avere un nuovo Parlamento, un nuovo Governo, un nuovo primo ministro e perfino una nuovo presidente della Repubblica.

La conferenza internazionale sulla Libia, convocata dal presidente francese Emmanuel Macron a Parigi, si è infatti conclusa con un accordo che potrebbe risultare storico. Il condizionale, tuttavia, è d’obbligo. Perché questa intesa che spiana la strada verso le elezioni, fissate per il 10 dicembre, non è stata firmata.

L’impegno comune per la normalizzazione
Intenzionalmente, sostengono i fautori del vertice, francesi in prima linea. In modo da non impegnare formalmente rivali politici che si sono fatti anche la guerra, e soprattutto per non mettere davanti a un fatto compiuto i 13 gruppi armati della Libia occidentale, tra cui alcuni fedeli al governo di accordo nazionale di Tripoli, ed altri consigli locali, che hanno espresso il loro rifiuto a partecipare all’iniziativa francese. Insomma più che a una firma solenne i francesi avrebbero dato importanza al buon senso e a un impegno comune. Una spiegazione che non convince completamente.

Roadmap per la Libia
Questo vertice resta comunque una tappa significativa in quella che tutti si augurano possa divenire una roadmap per la Libia. Anche perché, se molte milizie non hanno partecipato, i 4 personaggi più rappresentativi del Paese, alcuni rivali, si sono confrontati faccia a faccia: Fayez al-Sarraj, primo ministro del Governo di accordo nazionale (sostenuto dalla comunità internazionale), il generale Khalifa Haftar, signore incontrastato della Cirenaica e rivale di Sarraj. Oltre al presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Salah Issa, e quello del Consiglio di Stato, Khaled al-Mishri, esponente della Fratellanza Musulmana che vede Haftar come il fumo negli occhi. E che viene ripagato con la stessa moneta dal potente generale amico dell’Egitto e in buoni rapporti con la Francia.

Vederli in fila, nei loro completi, per la foto di gruppo, accanto al presidente francese Emmanuel Macron, gli inviati dell’Onu, dell’Unione Europea, e i rappresentati di 19 Paesi, è comunque qualcosa di insolito. Il generale Haftar era dato per morto un mese fa, eppure è apparso in più che buone condizioni di salute. La foto mentre stringe la mano a Sarraj, sotto l’occhio benevolo di Macron, è comunque un gesto che lascia ben sperare.
Ma il diavolo si nasconde nei dettagli. E quasi ogni punto dell’intesa contiene dei punti controversi.

Libia, al Sarraj e generale Haftar riuniti all'Eliseo con Macron

L’accordo stabilisce infatti che entro il 16 settembre dovrebbe essere approvata una legge elettorale per andare al voto ed elaborata, o emendata, la nuova Costituzione (in verità una già esiste anche se non ratificata con referendum). La quale, tuttavia, sarà approvata dopo il voto. Entro il 10 dicembre si dovranno svolgere sia le elezioni presidenziali che quelle parlamentari, presumibilmente lo stesso giorno. Ma svolgere un’elezione presidenziale senza una precisa Carta costituzionale che stabilisca i poteri del presidente, il suo mandato, e le sue altre funzioni, rischia di provocare più problemi invece di risolverli. Far votare i libici senza il consenso di tutte le diverse anime della Libia potrebbe poi vere solo un contenuto simbolico.

Un passo importante, ma altrettanto difficile da realizzare, è l’impegno a unificare le istituzioni della Libia, fino ad oggi divise tra Tripolitania, nella capitale, e Cirenaica, a Tobruk e Baida. Proprio il trasferimento della Camera dei Rappresentanti da Tobruk a Tripoli rappresenta un punto complesso. Votato nelle elezioni del giugno del 2014, con un procedimento elettorale in realtà piuttosto controverso, il Parlamento si era subito insediato a Tripoli. Ma pochi mesi dopo l’avanzata di alba libica, una coalizione di milizie islamiste che aveva conquistato Tripoli in agosto, insediando un Governo ombra, fece fuggire gli onorevoli libici in Cirenaica dove stabilirono appunto il Parlamento. E da allora si sono sempre rifiutati di dare la fiducia al Governo di accordo nazionale. Non sarà facile convincerli a far ritorno a Tripoli dove nell’arco di pochi mesi dovranno sciogliere il Parlamento.

Elezioni credibili e pacifiche
«Ci impegniamo a lavorare in modo costruttivo con le Nazioni Unite per tenere elezioni credibili e pacifiche e per rispettare i risultati delle elezioni», si legge nella “dichiarazione politica” .
Ma per avere la pace occorre avere la sicurezza. E un altro aspetto fondamentale sembra sia stato rinviato a data da destinarsi: vale a dire il disarmo di tutte le milizie armate in Libia, sono oltre 150, e soprattutto la formazione di un esercito nazionale. Sul fronte finanziario lo stesso vale per la Banca centrale, fino ad oggi sdoppiata in Cirenaica ed in Tripolitania. Quali saranno gli uomini al comando della più potente istituzione che da alcuni anni provvede a gestire le rendite petrolifere del Paese per poi ripartirle tra i due Governi rivali?
Insomma svolgere elezioni prima di affrontare questi temi strategici rischia di risultare uno sterile esercizio di democrazia. Nello scenario peggiore potrebbe addirittura ad esacerbare le tensioni già esistenti.

Sanzioni per chi non rispetterà gli impegni
L’Eliseo ha precisato che chi non rispetterà gli accordi andrà incontro a sanzioni internazionali. Ma è una minaccia che non fa molta presa nella Libia di oggi.
Parlare di vittoria diplomatica di Macron è ancora prematuro. Resta il fatto che le sue iniziative unilaterali hanno finora ottenuto di più rispetto agli sforzi di altri attori regionali, inclusa l’Italia, e delle Nazioni Unite. Lo stesso presidente francese preferisce dunque vedere il bicchiere mezzo pieno: «È la prima volta che questi leader libici accettano di lavorare insieme e approvano una dichiarazione congiunta. Ora abbiamo degli impegni chiari per la Libia ed un calendario approvato», ha dichiarato alla chiusura della conferenza.
Ma solo il tempo dirà se i libici sono disposti veramente a mettere le rivalità da parte per dar vita ad una reale transizione democratica. L’impressione è che sia stata messa troppa carne al fuoco. E troppo in fretta. Fare in pochi mesi quello che i leader libici non sono riusciti a fare in diversi anni non è impresa facile. Milizie permettendo.

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