Dazi e nuove minacce piovono sull’Europa dagli Stati Uniti, che hanno deciso di andare fino in fondo con le tariffe su acciaio (25%) e alluminio (10%), in vigore dalla mezzanotte di ieri. La scure cade anche su Canada e Messico, nonostante le trattative in corso con Washington sulla riforma del Nafta. E con i balzelli arriva anche l’avvertimento a non reagire, pena ulteriori ritorsioni. Ma Bruxelles si dice pronta a rispondere con misure «compensative» e ricorsi alla Wto.
L’entrata in vigore dei dazi è stata annunciata ieri pomeriggio a Parigi dal ministro al Commercio Usa, Wilbur Ross, arrivato mercoledì nella capitale europea per partecipare al forum dell’Ocse. Immediata la replica europea: «È un giorno molto brutto per il commercio mondiale. Faremo immediatamente ricorso alla Wto e annunceremo misure compensative nelle prossime ore», ha affermato il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker. Gli ha fatto eco la commissaria al Commercio, Cecilia Malmström: «Gli Usa hanno cercato di usare la minaccia dei dazi per ottenere concessioni dalla Ue. Non è questo il modo in cui noi facciamo affari. Faremo tutto il necessario per protegge il mercato Ue». L’export soggetto ai dazi Usa vale 6,4 miliardi di euro (lo 0,1% dell’export complessivo dell’Unione) e il danno inflitto dai dazi sarebbe molto inferiore allo 0,1% del Pil, secondo Oxford Economics. I più colpiti sarebbero i tedeschi: un terzo dei prodotti siderurgici europei acquistati dagli Stati Uniti arriva dalla Germania.
Già a marzo Bruxelles aveva preparato una lista di beni importati dagli Usa da sottoporre a contro-tariffe. Bourbon, Levi’s, Harley-Davidson: nel mirino ci sono beni di consumo, agroalimentare e acciaio per 2,8 miliardi di euro, prodotti nei collegi elettorali dei leader del Partito repubblicano. Il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, già prima dell’annuncio Usa aveva scandito: «La Ue non vuole una guerra commerciale, ma risponderà con tutti gli strumenti necessari a dazi ingiustificati, ingiustificabili e dannosi». Sulla stessa linea la cancelliera tedesca Angela Merkel.
La Casa Bianca aveva annunciato la stretta l’8 marzo, ma l’aveva sospesa con una proroga che sarebbe scaduta ieri notte e che non è stata rinnovata. Europa, Canada, Messico, Cina: l’offensiva commerciale dell’amministrazione Trump si muove su tutti i fronti. E guai a reagire, avverte Ross: «Noi non vogliamo una guerra commerciale. Sta all’Europa decidere se vuole varare ritorsioni. La domanda è: cosa farà Trump? Avete visto la sua risposta quando la Cina ha deciso di reagire. Se ci sarà un’escalation sarà perché la Ue avrà deciso di reagire». E ancora: «Vogliamo continuare i negoziati, perché ci sono altri problemi che devono essere risolti».
Ross agita il precedente cinese: quando Pechino rispose per le rime ai dazi annunciati ad aprile dagli Usa (su 50 miliardi di dollari di export), preparando ritorsioni di pari valore, Trump rilanciò, mettendo nel mirino altri 100 miliardi di dollari di prodotti cinesi.
Ieri Ross ha liquidato come irrilevanti le eventuali ritorsioni europee, che colpirebbero «una frazione minuscola del Pil Usa». Ma il prossimo step nell’escalation è già stato individuato. La scorsa settimana, la Casa Bianca ha ordinato un’indagine sulle importazioni di auto, per stabilire se costituiscono una minaccia alla sicurezza nazionale, sulla base della stessa legge del 1962 (si era in piena Guerra Fredda) usata per imporre i dazi sulla siderurgia. In quel caso, l’argomentazione degli Stati Uniti era stata la seguente: «Acciaio e alluminio sono fondamentali per l’industria degli armamenti, quindi la dipendenza da fornitori esteri metterebbe a rischio la difesa militare del Paese in caso di conflitto». Anche se quei fornitori sono gli alleati della Nato. L’Europa (e non solo) contesta questo utilizzo disinvolto del concetto di sicurezza nazionale ed pronta a impugnarlo alla Wto. La quale si troverà nella delicata situazione di decidere se uno Stato è in grado di decidere cosa sia e cosa non sia una minaccia.
Nel caso delle auto, l’argomentazione Usa stira le già indefinite maglie del concetto di sicurezza nazionale fino al limite (e oltre): l’import di veicoli danneggerebbe l’economia e «l’economia è questione di sicurezza nazionale». In Europa, la più penalizzata da dazi sull’auto sarebbe la Germania, ancora una volta. Secondo il settimanale Wirtschaftswoche, l’obiettivo sarebbe quello di chiudere il mercato nazionale ai costruttori tedeschi: lo avrebbe rivelato lo stesso Trump al presidente francese Emmanuel Macron, in occasione del suo viaggio a Washington in aprile.
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