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L’ombra del protezionismo Usa sul primato di Anversa nell’acciaio

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L’ombra del protezionismo Usa sul primato di Anversa nell’acciaio

Una veduta aerea del Porto di Anversa
Una veduta aerea del Porto di Anversa

ANVERSA - La storia spesso svela le incongruenze del presente. La capitale delle Fiandre è orgogliosamente fiamminga. Vota per il partito autonomista della Nieuw-Vlaamse Alliantie (N-VA) e guarda con disdegno alla Vallonia francofona, accusata di essere pigra, sonnolenta e troppo vicina alla Francia. Quanto di più paradossale. La fortuna di Anversa dipende per molti versi dall’occupazione francese a cavallo tra Settecento e Ottocento. Fu Napoleone a dotare la città degli strumenti che ancora oggi le permettono di essere tra i più importanti porti d’Europa.

Le origini napoleoniche
«Nel 1803, l’imperatore compì la sua prima visita in città e dette il via a importanti lavori in vista della costruzione di due moli. In poco tempo, la città divenne il principale porto dell’impero francese», racconta Jan Parmentier, professore di affari marittimi a Gand. Napoleone voleva organizzare da Anversa l’invasione dell’Inghilterra, e fondò in città numerosi cantieri navali. Dopo la sconfitta di Trafalgar, il porto divenne difensivo. Gli abitanti devono all’imperatore anche la salvaguardia della Cattedrale di Notre-Dame che il rappresentante di Parigi Simon Dargonne voleva radere al suolo.

I porti sono i crocevia della globalizzazione. Un barometro con cui prevedere futuri economici, ma anche politici. La corsa al protezionismo scatenata dall’Amministrazione Trump, l’uscita dall’Unione europea annunciata dalla Gran Bretagna, il futuro delle nuove rotte ferroviarie cavalcate dalla Cina. Le incertezze non mancano. Luc Arnouts è direttore delle relazioni internazionali del Port of Antwerp, come si chiama la società municipale che gestisce infrastrutture sparpagliate su un territorio di 12mila ettari: «Noi vogliamo essere ottimisti: in fondo, la gente consuma sempre».

Il Porto di Anversa rappresenta il 5% del Pil del Belgio. Come altri scali del Mare del Nord, la città è un porto fluviale, sul fiume Schelda. Il mare aperto dista 100 chilometri dalla città, il che rende Anversa un porto dell’entroterra, collegato tramite il Reno e altri canali artificiali alla regione della Ruhr, fino a Basilea. Chi scrive ha toccato con mano, cartina tra le dita, l’attività di uno scalo che ormai supera di gran lunga l’estensione stessa della città: 430 chilometri di strada, più di 170 chilometri di moli, oltre 1.060 chilometri di linee ferroviarie.

LA CLASSIFICA DEI MAGGIORI PORTI
Fonte: Autorità portuali e Port of Antwerp

L’impatto dei dazi di Trump

Sul fronte americano, Anversa è in una posizione delicata, poiché è il primo porto europeo nell’interscambio con le Americhe e con l’Africa. Dal 1° giugno, ossia da quando la Casa Bianca ha deciso di imporre nuovi dazi su acciaio ed alluminio, la città è sul chi vive. «Siamo il principale porto in Europa del Nord nel traffico di acciaio – spiega Arnouts -. Nel 2017, abbiamo registrato un interscambio di 10 milioni di tonnellate, di cui 1,5 milioni verso e dagli Usa. Esportiamo acciaio dal Belgio, ma anche dal Lussemburgo, dalla Francia, dalla Germania (…) Seguiamo quindi da vicino le scelte dell’Amministrazione Trump…».

Ferdinando Nelli Feroci, ex diplomatico e ora presidente dell’Istituto Affari Internazionali a Roma, nota come l’arma dei dazi non sia una novità per gli Stati Uniti: «La novità è che la riduzione del deficit commerciale sia l’obiettivo strategico». Mentre domina il timore che il processo di globalizzazione possa deragliare, come avvenne a inizio Novecento, il manager belga è ottimista. Il mondo di oggi è comunque diverso da quello di ieri, e bloccare il commercio mondiale appare difficile ai tempi di Internet. Eppure, il rischio di un effetto domino di ritorsioni equivalenti non è sottovalutato ad Anversa, tanto più che il porto deve anche fare i conti con Brexit.

Brexit: timori e contromisure

Il Belgio, come l’Olanda o la Danimarca, guarda con particolare timore all’uscita del Regno Unito dall’Unione. Un rapporto del Comitato delle Regioni ha messo l’accento sugli stretti rapporti di questi Paesi con le isole britanniche. «Il nostro interscambio con la Gran Bretagna è stato pari a 14 milioni di tonnellate di merce nel 2017 – spiega ancora Arnouts -. Non credo che sparirà anche se dovessero tornare le frontiere e Londra dovesse optare nei suoi rapporti con l’Unione per le regole della Wto. Il confine creerebbe ostacoli, ma non bloccherebbe il traffico». Ciononostante, nel 2017, i flussi verso e dal Regno Unito sono calati del 7%. «Un porto ha bisogno di un ambiente economico stabile», spiega il direttore del Port of Antwerp. Lo stesso periodo di transizione, che nei fatti dovrebbe permettere al Regno Unito di rimanere nell’Unione europea tra il 30 marzo 2019 e il 31 dicembre 2020, è visto con fastidio: «Crea incertezza e induce alcuni a rinviare la preparazione del futuro…». Non l’amministrazione portuale di Anversa: «Siamo uno scalo intercontinentale, abituati a gestire il processo doganale con Paesi terzi. Se ci dovesse essere una hard Brexit bisognerà aumentare il numero di doganieri e accelerare la digitalizzazione. Già oggi la dogana belga dà una pre-autorizzazione all’import-export 24 ore prima dell’arrivo o della partenza della merce grazie a formulari elettronici. La sfida con il Regno Unito è che la merce transita in meno di 24 ore».

Sabato 12 maggio è arrivato nella città belga il primo treno proveniente dalla Cina nel quadro della Belt and Road Initiative lanciata dal presidente Xi Jinping. Partendo da Tangshan, il convoglio ha attraversato cinque Paesi – Kazakhstan, Russia, Bielorussia, Polonia e Germania. Oltre 1.100 chilometri in 16 giorni. L’obiettivo è di rafforzare i legami tra il Paese asiatico e il continente europeo, offrendo alternative all’aereo e alla nave. Il problema è che il percorso è sbilanciato: i treni giungono ad Anversa carichi, ma troppo spesso tornano in Cina pressoché vuoti. «Il tragitto per mare è lungo, ma relativamente a buon mercato. Quello in aereo è rapidissimo, ma molto costoso e utilizzabile solo per alcune merci. Il treno offre una soluzione a metà – spiega la dirigenza del Port of Antwerp -. È utilizzato per beni particolari, come auto o minerali. Non è certo destinato a sostituire il trasporto marittimo, ma permette di completare la gamma di offerte nel trasporto merce». Le rotte ferroviarie non sono solo con l’Asia. Da Anversa partono molti treni alla settimana per l’Italia, verso Bari, Busto Arsizio, Domodossola, Milano, Novara, Trieste e Verona, complice anche la massiccia presenza nello scalo di due grandi aziende italiane, Msc e Grimaldi.

Snodo logistico di prim’ordine
D’altro canto, Anversa non è più solo un porto, votato al carico e scarico di merci e container. È un enorme snodo logistico nel quale alcune grandi aziende hanno deciso di produrre sul posto. «Lo stabilimento di Basf rappresenta da solo il 5% delle 225 milioni di tonnellate di merce che passano dal porto fiammingo», nota Michel Lory, il documentalista che si occupa dell’archivio del Port of Antwerp. Altre società hanno seguito l’esempio: Total, Monsanto, Solvay. «Alcune decine di milioni di tonnellate di merce sono prodotte in loco e trasportate da qui non per mare, ma per terra», precisa ancora Luc Arnouts. C’è di più. Vi sono aziende che nel porto concludono l’assemblaggio di prodotti semifiniti.

Interpellati sulle ragioni del successo di Anversa, i dirigenti del porto citano la sua vicinanza ai luoghi finali di destinazione o di partenza; la concorrenza con Rotterdam e Amburgo che incita ad essere più efficienti e affidabili; ma anche la profondità del fiume che permette di accogliere le navi più grandi. Quest’ultimo fattore non può essere dato per scontato. Con regolarità, la Schelda va dragata. Ottanta chilometri di fiume sono in territorio olandese, e la collaborazione tra i due Paesi è indispensabile.

Per un certo periodo, dopo l’indipendenza dalle Province unite dei Paesi Bassi, il Belgio fu costretto a pagare un pedaggio al governo olandese per evitare il blocco all’ingresso dell’estuario. Poi, nel 1863, il Belgio e numerosi altri paesi versarono 17 milioni di fiorini a L’Aja per liberare gli armatori dalla tassa. Fu un gesto di omaggio al libero commercio, al buon vicinato, e all’integrazione geografica. Mentre in Italia e in Europa si assiste al riemergere di tentazioni autarchiche, nel 2010, a duecento anni dai lavori di Napoleone, Belgio e Olanda hanno concluso un impressionante dragaggio del fiume con la collaborazione di numerose associazioni ambientaliste per permettere l’attracco di navi con un pescaggio di 16 metri.

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