DAL NOSTRO INVIATO
STRASBURGO - Non solo migranti, blocchi alla frontiere e l'esordio bellicoso di Sebastian Kurz. Il Parlamento europeo, riunito in plenaria a Strasburgo, dovrà misurarsi con un altro argomento dagli effetti dirompenti: la direttiva sul copyright, proposta nel 2016 dalla Commissione europea con l'ambizione di creare un «mercato unico digitale» nel Vecchio Continente.
Manca solo l'ufficialità, ma è probabile che oggi alle 9 il presidente dell'Europarlamento Antonio Tajani annunci la necessità di passare per il voto dell'Assemblea il 5 luglio. In caso di esito favorevole l'atto passerebbe ai negoziati fra Parlamento e CoNsiglio dei ministri, avviandosi al via libera definitivo. In caso di voto sfavorevole la direttiva sarebbe «congelata» fino alla prossima plenaria, con la prospettiva di ripartire quasi da capo. Le norme sul diritto d'autore provocano sempre qualche subbuglio, ma in questo caso l'atmosfera si è fatta più tesa del solito fra pressioni istituzionali, proteste di colossi come Google o piattaforme digitali che arrivano a scioperare, come nel caso di Wikipedia Italia e del suo - parziale - blackout di ieri. A scatenare le polemiche sono due articoli del testo, noti al grande pubblico - in parte erroneamente - come link tax (articolo 11) e upload filter (articolo 13).
Ma cosa è una direttiva? E il copyright?
La direttiva è un atto giuridico della Unione europea che vincola gli Stati membri a raggiungere un certo obiettivo, senza stabilire esattamente come: sta ai singoli paesi recepire l'input nel proprio ordinamento giuridico, pena una multa per ciascuna violazione commessa. Il copyright è il diritto d'autore, l'istituto che tutela i frutti della proprietà intellettuale. In questo caso se ne parla soprattutto per i suoi risvolti commerciali (licenze, contenuti a pagamento etc.).
E cosa dice di “scandaloso” la direttiva?
A seminare malumore, come abbiamo anticipato, sono le modifiche apportate dalla Commissione giuridica dell'Europarlamento agli articoli 11 e 13 del testo originario. L'articolo 11 è diventato noto come “link tax”, anche se non si parla di tassare i collegamenti ipertestuali: la norma prevede che la pubblicazione dei cosiddetti snippet (i ritagli di articolo che copia-incollano titolo e prime righe di un articolo, rimandando poi al link) sia vincolata a una licenza, per gratificare economicamente il lavoro svolto da altri. L'articolo 13 istituisce invece il cosiddetto upload filter, un filtro che impedisce agli utenti di caricare su piattaforme online materiale protetto da diritto intellettuale.
Chi è a favore? Perché?
Sorvolando sulle divisioni politiche (ce ne occuperemo più avanti), la direttiva trova il parere favorevole delle imprese che hanno sofferto di più la “cannibalizzazione” dei propri contenuti online, dagli editori ai produttori musicali. Il contrasto alla pratica degli snippet eviterebbe la dispersione di traffico e introiti pubblicitari verso siti che non pagano gli autori originari dei contenuti copia-incollati sulle proprie bacheche; un filtro più efficace agli upload proteggerebbe gli artisti dalla diffusione gratuita delle proprie opere. Solo in Italia hanno dato parere favorevole soggetti come l'Associazione italiana editori e la Federazione italiana industria musicale.
Chi è contrario?
Tra i gruppi sfavorevoli ci sono, paradossalmente, due categorie agli antipodi come i colossi tech (su tutti Google, che si è dato a una massiccia attività di lobby sugli editori) e gli attivisti per la libertà di internet. L'avversario è in comune, ma le analogie finiscono qui. I colossi del Web non vogliono sobbarcarsi ruoli di controllo sui dati diffusi sulle proprie piattaforme, oltre a conservare i pesanti flussi di investimenti pubblicitari monetizzati finora. I secondi vogliono evitare che la circolazione di contenuti sia schiacciata sotto al peso dei grandi editori (e delle stesse aziende tech), a discapito della libertà di espressione e di aziende di dimensioni minore.
L'argomento fatica a essere inquadrato anche secondo le vecchie categorie politiche. Persone a conoscenza della situazione, a Strasburgo, spiegano che la materia «va ben oltre i confini di destra e sinistra», trovando opinioni contrarie anche all'interno delle stesse famiglie politiche di Socialdemocratici e Popolari. Tra i pochi gruppi compatti (per il no) ci sono i Verdi e alcuni outsider, inclusa un forza italiana: i Cinque stelle, definiti tra i più «rumorosi» nel contrasto alla direttiva.
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