New York - Uno spettro si aggira per l’Europa. E ne è portatore Donald Trump, atterrato ieri sera nel Vecchio continente per una settimana di incontri con gli alleati che si annunciano più burrascosi che mai. È lo spettro che ha già seminato paure manifestandosi non più d’un mese fa: quello di un summit e incontri che tradiscano dure polemiche e divisioni transatlantiche, in questo caso tra Washington e i Paesi Nato, anche dietro eventuali unità di facciata. Seguiti da un vertice invece assai più disteso e comprensivo - a detta dello stesso Trump - con il “nemico” e uomo forte di turno, questa volta nientemeno che il russo Vladimir Putin.
Il copione sarebbe cioè un “remake” dell’uno-due di giugno. Tra il G7 in Quebec, dove a giugno Trump strappò il comunicato finale irritato dalle critiche al suo protezionismo commerciale da parte dell'ospite, il premier di Ottawa Justin Trudeau. E la tanta pompa - e dubbia sostanza - del successivo storico incontro inscenato con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un, ripetutamente complimentato e ammirato da Trump per le “abilità” di leadership.
Sono scene di una politica estera carica di gravi rischi per le alleanze occidentali.
Una politica considerata dagli stessi esperti americani al cardiopalma, estemporanea e sensibile al fascino di personaggi autoritari con i quali Trump sembra trovarsi a proprio agio, trattando alla pari e con lo stesso linguaggio, quello “transactional”, delle presunte concessioni, quasi fosse una partita di monopoli. Molto meno anche d'una cinica realpolitik, pragmatica ma che mantenga al centro strategie e interessi di fondo. Quelli che probabilmente non mancano affatto a Putin o a Kim, che da battaglie interne all'Occidente avrebbero tutto da guadagnare. Non è che difettino personaggi più lungimiranti dentro la stessa amministrazione americana, da ambasciatori fino forse allo stesso Segretario di Stato Mike Pompeo. Ma la loro influenza sembra spesso ridotta a mansioni di pubbliche relazioni, a massaggiare il linguaggio del Presidente, mentre nelle decisioni sembra regnare invece una confusa dipendenza da Trump e dai suoi umori.
Alla vigilia del viaggio influenti diplomatici si sono spesi per sottolineare come la Casa Bianca resti in tutto e per tutto convinta della Nato e della propria leadership dell'organizzazione, solo per essere continuamente contraddetti dai messaggi pubblici del Presidente. Nel conto alla rovescia verso questo viaggio europeo di dieci giorni, Trump non ha fatto mistero, nei tweet e nei comizi come in vere lettere spedite ai capi di stato e di governo, della sua visione del mondo da America First che porta in dono durante il suo nuovo pellegrinaggio in Europa. Una visione che vede la Nato come un esempio di sfruttamento degli Stati Uniti per mano di alleati che non vogliono pagare la loro parte di difesa. E che, in aggiunta, interpreta l'Unione Europea come una sorta di cavallo di troia, sorto appositamente per prendersi gioco degli Stati Uniti e danneggiarli economicamente.
Il suo sognato riequilibrio nei rapporti internazionali è quello di un’America meno impegnata in tutti i sensi quando si tratta di guidare il mondo libero.
Al contrario in Putin vede un forte erede degli zar con il quale migliorare i rapporti, con cui trattare da duro a duro. Nonostante i suoi stessi consiglieri, quelli rimasti, lo ammoniscano dei rischi di farsi manipolare da Mosca, di sottovalutare le sue campagne di interferenza e destabilizzazione nelle elezioni occidentali come tra le alleanze democratiche. Non c’è dubbio che a Putin una Nato divisa, sfiduciata o paralizzata politicamente, anche se armata fino ai denti, possa fare comodo. Come a Kim un’America presa tra vuote (si spera) minacce di bottoni nucleari e la sceneggiata di trattative inconcludenti. Entrambi probabilmente giocano una partita a lungo termine con il presupposto e più forti che loro saranno ancora in carica quando Trump sarà tornato a vita privata.
Il summit Nato, di certo, arriva sull'onda di scontri interni tra i partner. Trump ha ripetutamente accusato in paesi nell'Alleanza Atlantica, a cominciare dalla Germania, di non fare la loro parte quando si tratta di spesa militare, rimanendo sotto lo stabilito tetto del 2% del Pil, anche se sono stati compiuto sforzi in quella direzione. Ancora nelle ore prima di atterrare in Europa si è scatenato nei micro-messaggi su Internet: «Gli Stati Uniti spendono molto piu' di ogni altro paese per proteggerli. Non e' giusto per i nostri contribuenti. E poi perdiamo 151 miliardi di dollari nel commercio con la Ue».
L’ultimo è un riferimento al deficit stimato con l'Unione Europea, con la quale ha ingaggiato anche un duello a colpi di dazi unilaterali sul commercio. L’agenda europea di Trump con gli alleati è, forse non a caso, ridotta all'osso, per evitare eccessivi imbarazzi: oltre al vertice, un solo incontro bilaterale, con il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Ieri il presidente dell'Unione Donald Tusk ha risposto a Trump in un’espressione del nervosismo e disagio che circondano le uscite di Washington: «I soldi sono importanti, ma una genuina solidarieta' lo è di più». E ha aggiunto una stoccata forse non priva di sarcasmo: «America, apprezza i tuoi alleati, a conti fatti non ne hai molti».
Trump sarà poi giovedì a Londra, in visita al governo in crisi su Brexit di Theresa May - altro tuo per tu scomodo considerando che aveva tifato apertamente per l'uscita inglese dalla Ue. Infine ecco Putin in Finlandia. E qui promette invece paradossalmente di trovarsi a suo agio, se vogliamo dar credito alle parole del Presidente: «Francamente, quello con Putin dovrebbe essere l'incontro piu' facile», ha detto ieri lasciando la Casa Bianca per decollare alla volta del Vecchio continente. Un volo, politicamente, verso l’ignoto.
© Riproduzione riservata