Jackson Hole - Jerome Powell difende a spada tratta il pragmatismo della Federal Reserve nel gestire la politica monetaria in un'era di solida crescita americana ma anche di incertezze. Il chairman della Fed ha respinto, seppur indirettamente, soprattutto le critiche del presidente statunitense Donald Trump che ha attaccato esplicitamente invece la strategia di rialzi dei tassi di interesse seduta dalla banca centrale come dannosa per l'economia. «Il corso di graduale normalizzazione (della politica monetaria) rimane appropriato», ha affermato Powell tra previsioni di una ulteriore stretta sui tassi a settembre e forse di un'altra a dicembre.
«Vedo l'attuale cammino di un rialzo graduale dei tassi come l'approccio giusto per tenere conto seriamente di due rischi», ha detto Powell. I due rischi di muoversi con strette eccessive o troppo lente. «Procedere troppo rapidamente accorcerebbe senza bisogno l'espansione, muoversi troppo piano rischia un destabilizzante surriscaldamento», ha chiarito Powell davanti a una audience di circa 150 tra banchieri centrali, alti funzionari e esperti americani e internazionali riuniti per il simposio annuale della Fed nel resort del parco nazionale del Gran Teton in Wyoming.
Powell ha ammesso l'esistenza di ombre dal fronte internazionale sugli orizzonti dell'economia ma ha evitato di affrontarle o anche di menzionarle per nome, dai conflitti commerciali alle tensioni sui mercati emergenti. Si è concentrato sui nodi domestici: l'economia è robusta, ha detto. «Si è rafforzata sostanzialmente» e «ci sono buone ragioni per cedere che a performance continui». Non dà allo stesso tempo segni espliciti di eccessi, di impennate dell'inflazione ben oltre il target ideale della fed del 2% o di un «pericolo elevato di surricaldamento».
Nel sostenere l'approccio pragmatico e gradualistico della Fed Powell non ha escluso interventi «facendo tutto ciò che è necessario» in caso dell'emergere di seri rischi. Ha tuttavia citato errori o potenziali errori del passato per troppa fretta o imprecisioni della Fed: negli anni Sessanta e Settanta una sottovalutazione dell'inflazione la vide aspettare per stringere sul costo del denaro, negli anni Novanta scattarono forti pressioni sulla Fed perché alzasse invece i tassi nel pieno di un boom economico. La Fed però allora resistette, considerando gli effetti della new economy che tenevano sotto controllo le pressioni sui prezzi. Qui Powell ha “riabilitato” Alan Greenspan, autore di quella strategia pragmatica che riconobbe la capacità dell'economia di una crescita più veloce davanti alle trasformazioni tecnologiche.
Trasformazioni e incertezze sono anche oggi al lavoro nell'economia e richiedono attenzione a come si spostano variabili cruciali, che ha definito alla stregua delle “stella per i marinai”, quali il tasso naturale di disoccupazione o il livello neutrale dei tassi di interesse. Non sono stelle fisse, ha ammonito, e richiedono continua a attenta analisi dei dati e delle condizioni da parte della Fed. «Queste “stelle” - ha detto Powell - sono a volte lontane da dove percepiamo che siano».
Powella ha anche riconosciuto i limiti di quanto la Fed può fare per l'economia. In particolare per interrogativi strutturali quali la bassa crescita dei salari, la scarsa marcia della produttività, il declino della mobilità economica, i deficit pubblici. Ha però detto che il cammino scelto, pragmatico in sostegno del mandato di massima crescita, forte mercato del lavoro e inflazione al 2%, è il “miglior modo” per aiutare a fare i conti anche con queste sfide.
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