L’Italia ha tenuto banco alla riunione informale dei ministri della Difesa in corso a Vienna. L’argomento principale in agenda avrebbero dovuto essere i Balcani, ma parte dell’attenzione ha finito per spostarsi su quella che i media esteri chiamano «l’ossessione italiana»: i migranti. Il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha approfittato del vertice per avanzare una proposta di riforma di Sophia, l’operazione di contrasto al traffico di umani nel Mediterraneo in scadenza al 31 dicembre 2018. L’intenzione è spartire con gli altri paesi europei la responsabilità su sbarco e accoglienza dei migranti soccorsi, attivando un meccanismo di rotazione degli scali portuali.
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L’esito? Per usare le parole della stessa Trenta, i tentativi di dialogo hanno trovato «porte aperte e porte chiuse», con alcuni spiragli e diverse obiezioni in arrivo dagli Stati membri. Trenta continua a negoziare, ma le richieste di una «Europa più solidale» rischiano di incagliarsi su due limiti impliciti alla stessa proposta: il concetto di «porto sicuro» e la funzione di Sophia.
Cos’è Sophia e come funziona
Sophia è il nome abbreviato di EunavForMed Sophia, un’operazione militare dell’Unione europea avviata dal Consiglio affari
esteri Ue nel giugno 2015 e prorogata due volte, fino alla scadenza oggi fissata al 31 dicembre 2018. Il ruolo della missione è il contrasto al traffico di esseri umani nel Mediterraneo, con l’obiettivo di «fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai passatori o
dai trafficanti». Le operazioni di salvataggio non sarebbero di stretta competenza della missione, ma le navi coinvolte sono obbligate dal diritto internazionale a intervenire in caso di naufragi. Le operazioni di soccorso sono coordinate dalla nostra Guardia Costiera in assenza di un Maritime rescue coordination
centre competente, mentre lo sbarco finale avviene in Italia perché, in caso di intervento, si fa rinvio al piano operativo
di un’altra operazione: Triton, gestita dell'agenzia Frontex, che prevede appunto lo sbarco nel nostro Paese.
Perché Trenta vuole cambiarla...
La proposta di Trenta si concentra però sulla questione dei migranti e in particolare dei porti, chiedendo «l’introduzione
di una rotazione dei porti di sbarco e una unità di coordinamento che assegni il porto al Paese competente». In altre parole: far
ruotare l’apertura degli scali portuali (e le responsabilità di accoglienza) fra più paesi europei, istituendo un’unità di
raccordo con funzioni simili a quelle del Maritime rescue coordination centre, i centri di coordinamento per le attività di
recupero in mare. A quanto ha riferito Trenta dopo gli incontri informali di oggi, l’Italia avrebbe già incassato «il possibile sostegno» della
Germania. Ma i partner più indicati per la gestione sarebbero altri: «Serve la sensibilità di tutti i Paesi del Mediterraneo - ha
detto - Anche perché i flussi si stanno rivolgendo verso la Spagna, spero di avere un dialogo anche con loro». I margini
per un compromesso? Al momento, non è facile stabilirlo. L’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza,
Federica Mogherini, ha dichiarato che «non c’è consenso sulle soluzioni pratiche, ma c’è sulla necessità di trovarle». Tradotto, tutti i paesi
Ue sono favorevoli alla salvaguardia di Sophia («Perderlo sarebbe un passo indietro») ma non è ancora chiaro quanti siano
disposti a cedere alle pressioni italiane. Il vicepremier Matteo Salvini ha lanciato un aut aut a distanza, dichiarando che
l’Italia è pronta alla rottura in assenza di una revisione del piano.
...e perché è difficile che succeda
Come anticipato, la rivendicazione politica del governo gialloverde rischia di scontrarsi su principi più logistici che ideologici.
I migranti soccorsi devono essere trasportati nel «porto sicuro» più vicino: il cosiddetto place of safety, istituito dalla
convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, siglata ad Amburgo nel 1979. Lo scalo in questione non può essere deciso in maniera arbitraria, ma sulla base di criteri come l’affidabilità delle strutture
e la prossimità geografica. Come spiega Marco Borraccetti, docente di diritto internazionale all’Università di Bologna,
«il porto “sicuro” è quello che offre condizioni tali da non creare una situazione di pericolo per chi è soccorso». Una rotazione
obbligatoria esporrebbe le persone soccorse a spostamenti superflui, oltre ad aumentare i costi di trasporto (come già successo
nei vari casi di imbarcazioni di Ong bloccate ai nostri porti e “spedite” altrove sotto sorveglianza della nostra Marina).
Più in generale, il paradosso è che le richieste del governo insistono su un aspetto minoritario della missione Sophia. I salvataggi (si legga sopra) sono un obbligo giuridico e non la ragione d’essere dell’operazione, incentrata sul contrasto al traffico di essere umani. Secondo dati citati oggi da Mogherini, l’operazione Sophia ha ridotto di quattro quinti (l’80%) l’afflusso di migranti irregolari. Stime del Consiglio europeo risalenti a maggio 2018 indicano che la missione ha condotto all’arresto e al trasferimento alle autorità italiane di un totale di 143 persone sospettate di tratta e traffico e neutralizzato 545 imbarcazioni. Sul fronte dei salvataggi, invece, Sophia ha contribuito a un totale di 10.669 salvataggi su 114.286 totali (dati della Guardia Costiera). Meno del 10%.
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