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Brexit: si allarga il fronte per un secondo referendum

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i possibili scenari

Brexit: si allarga il fronte per un secondo referendum

Un secondo referendum su Brexit non s’ha da fare, ha detto categorica la premier britannica Theresa May, ma i leader degli altri 27 Paesi dell’Unione Europea non sono d’accordo. Joseph Muscat, premier di Malta, ha dichiarato oggi che «intorno al tavolo c’è un punto di vista unanime o quasi che vorremmo che si verificasse l’impossibile e la Gran Bretagna avesse un altro referendum».

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Un ritorno alle urne permetterebbe ai cittadini britannici di fare una scelta più ponderata e basata sui fatti, ha aggiunto Muscat: «Potrebbero vedere cosa è stato negoziato, esaminare le varie opzioni e poi decidere una volta per tutte».

Il premier della Repubblica Ceca, Andrej Babis, ha espresso la stessa opinione, dichiarando oggi che un secondo referendum «potrebbe risolvere il problema» di Brexit perché i cittadini britannici «potrebbero cambiare idea».

Ieri sera alla cena al summit di Salisburgo la May aveva avvertito gli altri leader Ue: «So che molti di voi non vogliono Brexit, ma è importante essere chiari: non ci sarà un secondo referendum in Gran Bretagna. I cittadini britannici hanno votato a favore dell’uscita dall’Unione Europea e lasceremo il 29 marzo 2019».

Nonostante il monito della premier, il movimento per un secondo voto si sta rafforzando. All’interno del partito conservatore c’è solo un drappello di deputati disposti a sfidare la premier, mentre il partito liberaldemocratico è l’unico compatto a favore di un secondo referendum.

Il partito laburista non ha preso posizione, ma aumentano le pressioni interne a schierarsi con decisione a favore. Nei giorni scorsi il sindaco di Londra Sadiq Khan aveva detto che un secondo voto è necessario, unendo la sua voce a quella di altri notabili laburisti come Chuka Umunna, Lord Adonis e Tony Blair.
Ora il Congresso annuale del partito laburista che inizia domenica a Liverpool potrebbe approvare una mozione a favore. Momentum, il movimento che sostiene il leader del partito Jeremy Corbyn, ha detto che un dibattito sulla questione è «assolutamente inevitabile» a 200 giorni dalla data prevista di Brexit. Oltre cento delegazioni regionali del partito hanno formalmente chiesto che il Labour si schieri a favore di un secondo referendum.

Intanto The People’s Vote, un movimento interpartitico che punta a un altro referendum, ha pubblicato una “roadmap” che delinea varie condizioni che porterebbero al voto. Potrebbe esserci una mozione del Governo subito dopo il raggiungimento di un accordo con la Ue, o una decisione della premier di optare per un secondo voto per evitare che l’accordo raggiunto non sia approvato dal Parlamento. In caso di “no deal” con la Ue la May potrebbe decidere di far scegliere ai cittadini se lasciare la Ue senza un accordo, oppure il fallimento dei negoziati con la Ue potrebbe portare a elezioni anticipate in Gran Bretagna.
Il rapporto pro-secondo referendum è stato scritto da Lord Kerr, una voce autorevole dato che è l’autore dell’articolo 50 invocato dalla Gran Bretagna quando ha deciso di uscire.

«Il dado non è irrevocabilmente tratto, c’e ancora tempo, - ha detto. – Se c’è una maggioranza in Parlamento a favore di un voto popolare, ci sono molte strade per arrivarci e diverse opportunità per la Camera dei Comuni di esprimere la sua volontà». Kerr ha anche sottolineato l’opzione “a costo zero” e quindi preferibile: semplicemente revocare unilateralmente l’articolo 50 e restare nella Ue facendo come se niente fosse. Opzione legalmente possibile, ma politicamente inaccettabile per la May.

Secondo Kerr i 27 concederebbero senz’altro un allungamento dei tempi di uscita per consentire un secondo referendum. La domanda sulla scheda elettorale dovrebbe essere semplicemente se approvare l’accordo proposto o annullare Brexit, o in caso di no deal se optare per una “hard Brexit” oppure restare parte della Ue.

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