Quando il Financial Times mi ha detto di partire per Amsterdam e di fumare erba, ho chiesto a un’amica che abita lì di raccomandarmi un buon coffee shop (così in olandese e in inglese si chiamano i locali
dove si può fumare la cannabis). La sua risposta è stata quella tipica degli olandesi: «Non ho idea, non ci ho mai messo piede».
La sua scelta alla fine è ricaduta sul Paradox, il coffee shop più vicino alla scuola di suo figlio, così da poterlo andare
a prendere subito dopo esserci incontrati.
Ora siamo qui, seduti in quello che sembra un salotto accogliente e comodo, pieno di cuscini disseminati in giro, e siamo
circondati da giovani poco più che ventenni educati, eleganti e tranquilli provenienti da ogni angolo del mondo. Ludo Bossaert,
proprietario del locale che ha aperto 27 anni fa, mi consiglia uno spinello da 5 euro, il “Pure Special Haze Mix” che, secondo
l’esaustivo menu del locale, ci offrirà un “super-sballo”. Quasi certamente, sono il primo consumatore nella storia del Paradox a chiedere una ricevuta.
Ludo - un botanico appassionato, che ama la storia degli stupefacenti ed è un vero “intenditore” di erba - mi insegna ad aspirare dallo spinello prima ancora di accenderlo, per assaporarne il gusto dolce che ricorda un po’ la cannella. Poi accendo e inizio ad aspirare.
Ludo alza entrambi i pollici ed esclama: «Ecco qui quello che definisco giornalismo investigativo!».
Qualcuno doveva pur occuparsene, visto che la cannabis è ormai una questione di primario interesse politico. Il 17 ottobre il Canada è diventato la prima grande economia al mondo a legalizzare la cannabis a scopo ricreativo. (L’Uruguay ha battuto tutti sul tempo nel 2013.) Dal 1° novembre, i medici del Servizio sanitario britannico possono prescrivere la marijuana a scopi medici. Trenta stati americani hanno già legalizzato la cannabis per questo stesso scopo, altri nove ne consentono l’uso a scopi ricreativi e Donald Trump ha reso noto di essere favorevole a depenalizzarla a livello federale.
Presto, quindi, la cannabis potrebbe diventare qualcosa di normale nella vita quotidiana del mondo anglofono, proprio come gli alcolici o
il caffè, spodestando di fatto le sigarette, sempre meno tollerate a livello sociale. A giudicare dall’esperienza di quasi mezzo secolo
di depenalizzazione olandese si tratta di una cosa positiva? L’erba potrà davvero alleviare il dolore e le nostre sofferenze?
Forse, furono gli abitanti dell’antica Cina i primi esseri umani a fumare la pianta della cannabis, e ormai la si fuma da
almeno cinquemila anni, spesso per alleviare il dolore. Polline di cannabis è stato rinvenuto in una tomba olandese risalente
a 4200 anni fa. Perfino alla regina Vittoria fu prescritta «la cannabis a scopo terapeutico dal medico reale come antidolorifico per i crampi mestruali»: così scrive John Hudak in “Marijuana: A
Short History”.
Negli Stati Uniti l’erba sembra essere diventata argomento controverso al centro di tesi contrapposte negli anni Trenta, quando i nativisti americani (utilizzando in modo suggestivo il termine
spagnolo corrispondente) collegarono la “marijuana” agli immigrati messicani. Nel 1937, subito dopo aver abbandonato il Proibizionismo
per l’alcool, gli Stati Uniti iniziarono a dare un giro di vite al consumo di erba, scrive Hudak. Alla fine degli anni Cinquanta,
in effetti i consumi erano ormai clandestini. Nel 1961, una convenzione delle Nazioni Unite classificò la cannabis nel “Schedule
1” tra le sostanze stupefacenti che provocano maggiore dipendenza, predisponendola così all’illegalità pressoché ovunque.
Poi si arrivò alla “guerra alle droghe” di Richard Nixon, che prese di mira l’erba, l’eroina, e qualsiasi altro stupefacente. In verità, più che la cannabis, il
suo vero bersaglio erano i giovani con i capelli lunghi che parevano riverirla e adorarla. «Quando fumi l’erba, ti rivela
il vero te stesso» diceva Bob Marley, mentre Bob Dylan cantava: «Tutti dovrebbero farsi».
Nel 1970 il presidente Nixon istituì la Shafer Commission, incaricata di consigliare le azioni da intraprendere. Il verdetto
al quale giunse la Commissione Shafer fu inservibile: «La Commissione è giunta all’opinione unanime che il consumo di marijuana
non è un problema così grave da rendere gli individui che la fumano passibili di procedure penali». Tale conclusione era in
linea con altri rapporti delle autorità statunitensi (a cominciare da quello del sindaco di New York, Fiorello La Guardia,
nel 1944), secondo i quali l’erba in verità non rappresentava un problema serio.
Nixon si limitò a ignorare la Shafer: firmò leggi e predispose un apparato burocratico per contrastare il consumo di cannabis.
Nel frattempo, i consumi di tabacco e di alcool – le droghe della sua “maggioranza silenziosa” – erano incoraggiati dalle
pubblicità onnipresenti. (Nixon stesso era un forte bevitore e si autosomministrava il farmaco antiepilettico Dilantin come
tranquillante.)
Senza rendersene conto, Nixon rese la cannabis affascinante. Molti adolescenti americani già sapevano per esperienza personale che quasi certamente l’erba non avrebbe distrutto la loro
vita. A quel punto, però, l’erba divenne uno strumento di ribellione a basso rischio.
Mentre gli Stati Uniti combattevano contro la cannabis, i sonnolenti Paesi Bassi la stavano scoprendo. Forse, il primo evento di massa a base di marijuana nel paese, se si escludono i circoli hippy di Amsterdam, fu un festival
musicale a Rotterdam nel 1970. Migliaia di giovani fumarono spinelli indisturbati, in mezzo a poliziotti in abiti civili che
camminavano in mezzo a loro osservandoli. Cees Ottevanger, all’epoca un giovane ispettore di polizia, a decenni di distanza
ha detto al programma televisivo olandese Andere Tijden che «pur con tutta la buona volontà del mondo, non potemmo riferire
che stesse accadendo qualcosa di brutto, di spiacevole o di poco gradevole. L’atmosfera, infatti, era davvero fantastica e
non ci fu motivo di temere che accadesse nulla di male».
Lo stato olandese non legalizzò la cannabis, in parte per il timore di indispettire gli alleati stranieri. Decise, tuttavia, di smettere di perseguire chi fumava erba. Le autorità pensarono che i “fatti” (come si chiamano in slang quelli che hanno fumato cannabis) non fossero più pericolosi di quelli che consumavano alcool o caffè e, anche nel caso in cui lo fossero stati, ritennero che il proibizionismo avrebbe creato un bel giro d’affari per i criminali.
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È sbagliato pensare che lo stato olandese sia favorevole alla cannabis o alla prostituzione (legale nei Paesi Bassi). In verità, lo stato olandese è pragmatico. Preferisce che alcune attività a rischio siano sotto
gli occhi di tutti (dove le si può regolamentare e tassare), mentre altri paesi le rendono clandestine, relegandole laddove
prevale il disordine.
Ho vissuto nei Paesi Bassi per buona parte della mia carriera scolastica tra il 1976 e il 1986. Nella mia cittadina c’erano alcuni coffee-shop, e un paio di miei amici per qualche tempo vi fumò spinelli. Tuttavia, non posso certo affermare che tra noi adolescenti ci fosse una vera mania per gli spinelli. Al liceo si associavano gli spinelli ai ragazzi che marinavano la scuola, non ad atti di particolare creatività e ribellione. Faceva più figo fumare sigarette. A scuola ci ammonivano soltanto sulle droghe pesanti: ricordo ancora quando nella mia classe fu proiettato il terrificante film tedesco “Christiane F.: noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” su un’adolescente eroinomane costretta a prostituirsi. Nel 2009, quando lo stato olandese pubblicò uno studio sulle droghe più pericolose, le elencò in questo ordine: 1) Crack. 2) Eroina. 3) Tabacco. 4) Alcool. La cannabis figurava al decimo posto.
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Gli americani della mia generazione sono cresciuti diversamente. Nancy Reagan, first lady degli Stati Uniti, negli anni Ottanta
sferrò battaglia in maniera indiscriminata alle droghe leggere e pesanti con lo slogan: «Just say no». Rispondi semplicemente «no». Così facendo, in tutto il mondo i bacchettoni conservatori che amavano diffondere il panico
dettero allo spinello il fascino del frutto proibito.
Me ne resi conto molto bene quando, da studente in Gran Bretagna, organizzai due giorni di partite di calcio ad Amsterdam.
I miei compagni di squadra non vollero esplorare la vita degli studenti locali, con i suoi bar bellissimi e le sue romantiche
possibilità. Preferirono trascorrere tutte le sante sere a scarpinare avanti e indietro nel quartiere a luci rosse della città
oppure seduti in dozzinali coffee-shop, vere e proprie trappole per turisti. L’erba mi rilassava e mi frenava (soprattutto
quando i miei compagni di squadra mi chiudevano il naso, così che non potevo espirare), ma essendo un ventenne iperattivo
non avevo nessuna voglia di sentirmi frenato.
Quando ero di malumore, il nostro portiere americano mi parlava del brivido eccitante di poter fumare l’erba legalmente. D’altro
canto, scherzava, uno dei brividi dell’adolescenza americana era invece “svignarsela in giro” per bere birra e fumare erba
di nascosto. Secondo lui, la legalizzazione della cannabis avrebbe rovinato tutto. All’epoca, in ogni caso, la legalizzazione
dell’erba negli Stati Uniti sembrava inconcepibile. Più o meno a quel tempo, Bill Clinton divenne il primo presidente degli Stati Uniti ad ammettere di aver fumato uno spinello (aggiungendo di non aver aspirato). Quella sua semplice ammissione lo obbligò poi a dar prova di fermezza nel portare avanti
la guerra di Nixon, scrive ancora Hudak.
Della politica olandese in fatto di cannabis si parla nel film di gangster “Pulp Fiction” del 1994, diretto e scritto da Quentin
Tarantino che ha vissuto ad Amsterdam per un breve periodo:
Vincent: «Sì, le cose funzionano così: è legale comprarla, è legale possederla e, se sei proprietario di un hash bar (coffee-shop)
è legale anche venderla. È legale portarsela dietro ma, in fondo, non ha nessuna importanza perché… ammettiamo pure che te
ne porti in giro un sacco, ok? Beh, se i poliziotti di Amsterdam ti fermano, non sono autorizzati a perquisirti, capisci?».
Jules: [ride] «Oh, cazzo, amico! Allora ci vado. Che cosa potresti volere di più?».
Di fatto, lo spinello non è legale ad Amsterdam. Ludo riferisce in questi termini un battibecco con un poliziotto che ha fatto incursione nel Paradox:
Ludo: «È legale, vero?»
Poliziotto: «Non è affatto legale!»
Ludo: «Quindi è illegale?»
Poliziotto: «No, nemmeno.»
Ludo: «Ma, allora?»
Poliziotto: «È tollerato.»
Ludo è autorizzato a vendere cinque grammi al giorno a cliente, sui quali paga le tasse ma non il corrispettivo dell’Iva –
perché «in Europa è un prodotto che non esiste» – ha spiegato. Rifornirsi di cannabis dalla cosiddetta famosa “porta sul retro” dei coffee-shop olandesi, da un punto di
vista tecnico è illegale. «Dal momento che fare rifornimento è illegale, i prezzi della cannabis sono elevati, perché paghi
per i rischi che corri» dice Ludo. Lui compra soltanto in contanti e da fidati coltivatori locali di cannabis. «Preferisco
acquistare quantità inferiori, ma coltivate con amore. Quando si tratta di carichi grossi, le persone che se ne occupano spesso
sono criminali borderline». Ludo può tenere legalmente in negozio scorte non superiori ai 500 grammi di cannabis, e questo
significa che i rifornimenti in furgoncini e biciclette proseguono tutto il giorno.
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La polizia lo controlla con regolarità. Se nel suo coffee-shop dovesse trovare minorenni o droghe pesanti o scorte in eccesso,
può chiudergli l’attività. Nel 1995 ad Amsterdam c’erano 350 coffee-shop: da allora circa la metà ha chiuso i battenti, più
che altro nel tentativo di scoraggiare il “turismo dei fatti” stranieri di bassa lega. Finora, Ludo ha tratto vantaggio dalla
chiusura dei locali dei suoi concorrenti. In un qualsiasi pomeriggio feriale, tutti i tavoli del Paradox sono occupati.
Ludo è specializzato in “spacecake”: fettine sottili di dolce contenenti un grammo di erba ciascuna. Una cliente di Shanghai gli ha scritto una lettera, una
volta, decorata con disegni di origami, e lo ha ringraziato per “il pane”. «Alludeva alla torta» spiega Ludo, «ma in Cina
devi stare molto attento a quello che scrivi».
Le spacecake sono deludenti. Uno spinello ti manda la cannabis in circolo rapidamente, dopo di che ti senti fatto e in genere
smetti di fumare (meccanismo di restrizione che manca completamente nel caso del consumo di tabacco e di alcool). Invece,
la cannabis edibile può richiedere molte ore prima di avere effetto, e quindi in qualche caso capita che i consumatori ne
assumano troppa e per sbaglio vadano in overdose. I servizi sanitari di Amsterdam, stufi di ripescare i clienti di Ludo privi
di conoscenza dai canali della città, gli hanno chiesto di smettere di vendere queste sue torte.
Ludo continua a venderle, ma adesso avvolge ogni singola fettina in fogli con istruzioni assai dettagliate: «Se in precedenza
non avete mai fumato cannabis, mangiate un quarto di fetta e aspettate due ore perché faccia effetto prima di proseguire…»
e via dicendo.
Io preferisco gli spinelli. Non aspiro abbastanza da avere un “super-sballo”, ma poco alla volta imparo ad aspirare due volte
in rapida successione, e poco alla volta scopro una sensazione che non mi è familiare. Alla fine, riesco a identificarla con
certezza: mi sento rilassato. «Ogni cosa diventa più morbida e sfumata» spiega Ludo.
«Mi sembra pallido» commenta la mia amica.
«I livelli di zucchero nel suo sangue stanno scendendo» dice Ludo. Il cameriere mi porta un tè alla mente con miele. Io, in
verità mi sento bene, sono felice. Perdo poco alla volta il senso del tempo, studio con benevolenza gli altri avventori, molti
dei quali guardano lo schermo dei loro telefonini. Tutto è tranquillo, fino a quando all’esterno all’improvviso un veicolo
suona il clacson.
«Willem, c’è il tuo taxi!» strilla da un angolo del locale uno degli habitué.
Willem è un anziano su una sedia a rotelle e poco prima si era unito a una chiacchierata sulla politica degli Stati Uniti
nei riguardi della cannabis. Il suo “taxi” in verità è un autobus pubblico per disabili, ed è venuto a prenderlo. Ludo lo
aiuta a uscire dal Paradox, gli spinge la sedia a rotelle e lo aiuta a montare sulla rampa dell’autobus, come fa sempre. È
una scena tipica ad Amsterdam.
I coffee shop di Amsterdam sono stati all’avanguardia nel mondo per la politica riguardante la cannabis per una quarantina
d’anni circa. Alla fine del XX secolo, l’Olanda divenne una sorta di laboratorio del futurismo. Sono cresciuto tra le piste
ciclabili. Nel 1999 gli olandesi inventarono “Il grande fratello”, il più importante reality show televisivo. Nel 2001 sono
stati pionieri nell’inaugurare i matrimoni tra individui dello stesso sesso. Adesso, però, i Paesi Bassi non stanno più inventando
il futuro. Per quanto riguarda la cannabis, la “tolleranza” olandese degli anni Settanta è superata dalla legalizzazione negli
altri paesi.
A un certo punto di questo secolo, gli Stati Uniti hanno iniziato a mettere in discussione la guerra alla cannabis. Malgrado le decine di miliardi di dollari spese per tenere sotto controllo il consumo di cannabis, nonostante il gran numero
di vite rovinate dall’arresto o dalla prigione, la maggior parte degli americani ha scoperto di potersi procurare l’erba facilmente.
Nel 2008, un’analisi condotta da Louisa Degenhardt del National Drug & Alcohol Research Centre dell’Australia’s University
of New South Wales ha rivelato che «l’uso quotidiano e a vita di cannabis negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda (diffuso in
entrambi i paesi tra il 42 per cento della popolazione) era di gran lunga più elevato rispetto a qualsiasi altro paese».
Per l’Olanda tale percentuale si colloca intorno al 20 (consumo più elevato rispetto alla maggior parte dei paesi europei).
Uno degli effetti di tutto questo fumare è che gli americani più giovani hanno appreso che la cannabis, dopo tutto, non è
il male assoluto.
Barack Obama è stato eletto dopo aver detto che «quando ero un ragazzino, ho fumato e aspirato. Dopo tutto, è così che si
fa». (Nelle sue memorie del 1995 “Dreams from My Father” forse ha addirittura esagerato, quando racconta quanta erba ha fumato.)
Eppure, fa notare Hudak, un eventuale arresto da adolescente per possesso di marijuana – il destino di innumerevoli giovani
di colore, tenuto conto delle disparità di trattamento da parte della polizia rispetto alla razza – avrebbe potuto far deragliare
la carriera di Obama.
Anche George Soros e Michael Blooomberg, entrambi uomini d’affari miliardari, hanno ammesso di aver fumato cannabis. Più di recente, quando Elon Musk ha twittato di voler privatizzare le azioni Tesla a 420 dollari l’una, la Borsa americana, la Securities and Exchange Commission, lo ha accusato di truffa, specificando: «Musk ha affermato di aver arrotondato il prezzo delle azioni a 420 dollari perché da poco ha appreso il significato di questo numero nella cultura della marijuana e ha pensato che la sua compagna l’avrebbe trovato divertente, il che – come è ovvio – non è un buon motivo per fissare un dato prezzo». (Il numero “420” nel gergo dei consumatori americani sta a intendere la cannabis.)
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In sintesi, in America ora l’erba sta diventando mainstream. Il governo federale e molti stati continuano invece a lottare: nel 2016 circa 587700 americani sono stati arrestati per
possesso di marijuana, più di tutti i colpevoli arrestati per crimini violenti negli Stati Uniti. L’attuale procuratore generale
Jeff Session è un nixoniano, fermo nemico della marijuana. Tuttavia, i tempi ormai non gli sono favorevoli. Trump è consapevole
che la maggior parte degli americani ora è propensa alla legalizzazione. Ludo si è accorto che i suoi clienti americani stanno
diventando molto più blasé: «In passato leggevano il mio menu con ammirazione. Adesso, probabilmente pensano: “Questo qui
vende soltanto cinque tipi di erba”».
Per quanto riguarda la Gran Bretagna, considera l’uso a scopi terapeutici un inizio promettente: «Portare a termine la legalizzazione sarebbe un bene per loro. Non avrebbero più tanta puzza sotto il naso. E si ritroverebbero
immediatamente migliaia di persone occupate in questo settore».
La legalizzazione della cannabis nel mondo anglosassone potrebbe compromettere la sua attività commerciale, ma Ludo si augura
che questo possa anche contribuire a espandere in proporzione la tanto necessaria ricerca medica sulla cannabis. Gli scienziati
non hanno mai studiato a fondo questa pianta, per paura di incursioni in laboratorio della polizia. Per essere una droga così
comune, ne sappiamo davvero molto poco di cannabis. Soltanto ora stiamo iniziando a imparare quale pezzetto di pianta faccia
cosa e con quali effetti. Ma, in futuro, la ricerca potrebbe riservarci alcune sorprese. Alla cannabis sono legate molte speranze
in campo medico, per il trattamento di varie cose, dal dolore all’epilessia alla sclerosi multipla. Un primo studio di Dame
Sally Davies, capo ufficiale medico per l’Inghilterra, è giunto alla conclusione che la cannabis medica ha dimostrato di avere
benefici terapeutici.
David Nutt, professore di neuropsicofarmacologia all’Imperial College London, prevede che «si trasformerà in una medicina davvero molto usata in campo medico, ma ve ne saranno di diverse». Egli crede che gli Stati Uniti avrebbero potuto evitare il dilagare dell’abuso
di oppiacei se al loro posto i medici avessero prescritto la cannabis come antidolorifico.
Ludo è particolarmente entusiasta di una sostanza chimica contenuta dalla cannabis che si chiama CBD (cannabidiolo): non è una sostanza psicoattiva, ma calma e favorisce il sonno. «La gente la dà ai bambini e ai cani». Ci sono persone rispettabili, come il suo dentista e il suo commercialista, che gliela richiedono regolarmente. Un mese fa, The Coca-Cola Company ha detto di «seguire da vicino e attentamente la crescita del CBD non psicoattivo come possibile ingrediente di bevande per il benessere dell’organismo». Il cannabidiolo, insomma, presto potrebbe essere socialmente più accettabile dello zucchero.
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La cannabis può fare bene. Ma può fare anche male. Ho osservato persone a me vicine trasformarsi in letargici paranoici fumatori a ripetizione di erba, con un buco di dieci
anni nel curriculum che li ostacolava ancora, parecchio tempo dopo aver rinunciato allo spinello. L’Associazione americana
per la salute polmonare mette in guardia dicendo che, se fumata, la «marijuana danneggia senza ombra di dubbio i polmoni,
l’uso regolare porta alla bronchite cronica, e nelle persone dal sistema immunitario compromesso può provocare una maggiore
esposizione alle infezioni polmonari». I forti consumatori di cannabis, inoltre, hanno un più alto rischio di sviluppare disturbi
psicotici.
Negli Stati Uniti, l’abrogazione del divieto di fumare la cannabis pare aver fatto aumentare leggermente il numero di coloro
che fumano erba tutti i giorni. Questa settimana Facebook ha permesso alle aziende correlate alla cannabis di comparire tra i risultati dei motori di ricerca dei suoi utenti.
Il settore emergente della cannabis in America, proprio come Big Tobacco e i casinò, ha tutti gli incentivi a incoraggiare
a un uso più continuo della cannabis. Forse, è del tutto tipico dell’America passare dalla sera alla mattina dagli arresti
in massa alla deregulation dei consumi eccessivi.
Capisco quali siano i rischi, eppure esco dal Paradox cambiato. Una volta un amico che se ne intende di stupefacenti mi aveva messo in guardia: «Sei già un iperattivo, quindi non prendere mai la cocaina. Quello che fa per te è l’erba». Mentre passeggio tra i canali di Amsterdam, nel sole del tardo pomeriggio, capisco perfettamente quello che intendeva dire quel mio amico. La cannabis si inserirebbe alla perfezione nella mia vita tutta casa e lavoro e piena di impegni di ultraquarantenne. Non ho tempo, infatti, per trascorrere i pomeriggi strafatto sul divano (a meno che il Financial Times non mi assegni altri incarichi di questo tipo). Quello che desidero, in fin dei conti, è un semplice spinello alla sera per rilassarmi (“rilassarsi” lo chiama infatti Ludo in inglese-olandese). Lo spinello mi sembra un mezzo più sano del vino.
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Prima di lasciare Amsterdam, faccio visita a un “head shop” per comprare un vaporizzatore (trovo che gli spinelli siano troppo
amari). Non rischio di portarmi dell’erba a casa in Francia, dove è illegale. Mi riprometto invece di comprarne un po’ da
un amico vicino a me, a Parigi, che ne ha sempre una piccola scorta da parte.
Poi, in una grande farmacia olandese della catena Etos, acquisto un pacchetto di pillole CBD da un grosso distributore di
prodotti a base di cannabidiolo. Sulla confezione c’è scritto a caratteri cubitali che “non dà assuefazione”.
Da allora ho assunto una pillola quasi tutte le sere una mezz’ora prima di andare a letto (anche se non me le sono portate
appresso nel viaggio di lavoro in Qatar, per non rischiare una condanna a dieci anni di carcere). Il cannabidiolo mi rilassa
un po’. Adesso mi tornerebbe davvero utile la marijuana di quel mio amico ma, tra lavoro e figli, fino a questo momento nessuno
di noi due ha trovato il tempo per fissare un appuntamento.
Copyright The Financial Times Limited 2018
(Traduzione di Anna Bissanti)
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