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L’America è divisa. Ma i progressisti non stanno benissimo

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L’America è divisa. Ma i progressisti non stanno benissimo

(Epa)
(Epa)

L’America che emerge dalle elezioni di mid-term è indubbiamente una Repubblica divisa, non fosse altro che per la coabitazione che si delinea tra un Presidente repubblicano che controlla il Senato e un Partito democratico che prevale alla Camera dopo otto anni all’opposizione. Ma gli Stati Uniti cambiano incessantemente e l’analisi dei risultati del 2018 e il profilo dei nuovi politici porterebbero a concludere che sono anche una nazione capace sempre di sorprendere.

Dagli esiti di ieri emerge una lunga lista di historic firsts: per la prima volta siederanno al Congresso donne mussulmane (Rashida Tlaib e Ilhan Omar) e native americane (Sharice Davids, omosessuale, e Deb Haaland), mentre Ayanna Pressley sarà la prima donna di colore a rappresentare il Massachussets e Jahana Hayes a farlo per il Connecticut. Un anno dopo l’inizio del movimento #MeToo, ma anche due dopo l’elezione di un candidato che si è vantato di “prendere le donne per la figa”, nella 116ª legislatura il numero di congressiste supererà per la prima volta la soglia simbolica di 100. Tra di loro la democratica Alexandria Ocasio-Cortez, che a 29 anni si converte nella più giovane parlamentare della storia degli Stati Uniti, indipendentemente dal sesso. Anche a livello statale sono stati stabiliti dei record: prima di Marsha Blackburn, il Tennessee non aveva mai visto una senatrice.

La forte mobilitazione dell’elettorato femminile, preoccupato dal clima misogino, ha sicuramente giocato un ruolo, così come la strategia di molte candidate, soprattutto ma non solo democratiche, di presentarsi come estranee ai giochi di potere delle élites politiche e portatrici delle rivendicazioni pratiche, e non ideologiche, della gente comune. E se la somma media raccolta da una candidata resta inferiore a quella di un candidato, il gap si è molto ridotto quest’anno grazie all’appeal di figure come Mikie Sherrill (pilota di elicotteri Sea King, Assistant U.S. Attorney e madre di quattro figli) e Amy “Krusty” McGrath (che invece ha portato a termine 89 combattimenti col suo F/A-18), oltre che all’aumento del 36% nelle donazioni fatte da donne (ovviamente, non solo ad altre donne).

Tutto ciò significa che la crisi dell’uomo bianco, nelle sue manifestazioni identitarie non meno che economiche, e il prevalere delle sue rivendicazioni non è poi veramente la chiave di lettura più appropriata per spiegare il fenomeno Trump e più in generale la marcia quasi inesorabile di movimenti anti-sistema in Occidente? “Not so fast”, viene da dire, e per molti motivi.

Intanto perché per ogni donna che ha vinto ce ne sono altrettante che hanno perso, tra cui per esempio la McGrath in Kentucky. Certo, molte sono state sfavorite dalla strategia repubblicana di ridisegnare i confini dei distretti in modo da favorire il centro-destra, ma ci sono anche resistenze ataviche a votare per le donne, soprattutto a livello statale – in 22 stati non ci sono mai state governatrici, anche se ieri sono state elette Gretchen Whitmer in Michigan, Laura Kelly in Kansas e Michelle Lujan Grisham nel New Mexico.

La sconfitta in Georgia di Stacey Abrams, per sostenere la quale si erano mobilitati Barack Obama e Oprah Winfrey e che sarebbe diventata la prima governatrice nera nella storia americana, mostra invece le difficoltà che incontrano i democratici più a sinistra. Identica sorte del resto è toccata a Beto O’Rourke in Texas, malgrado la sua candidatura abbia raccolto la cifra record di 70 milioni di dollari, gran parte in piccole donazioni, e Andrew Gillum, che a 39 anni ambiva a diventare il primo governatore nero della Florida. Che ieri non abbiano trionfato i progressisti lo prova anche il fatto che molte candidate repubblicane hanno fatto campagna e vinto sulla base di temi come i limiti al diritto all’aborto, la paura dei migranti e il rigetto delle rivendicazioni femministe sulle molestie sessuali.

Il grosso dei voti e quindi degli eletti democratici si trova tuttora nei centri urbani, tra i ceti più istruiti e benestanti. È qui che attecchiscono temi come la difesa dell’ambiente, la lotta al cambiamento climatico, il controllo sulle armi da fuoco e la promozione dei nuovi diritti civili, sui quali il centro-sinistra può oltretutto recuperare parte dell’elettorato moderato che sulle questioni economiche come le tasse sarebbe più portato a sostenere Trump. Senza dimenticare le minoranze etniche (afro-americani, latinos e Asian-American), che si sentono sempre più minacciate dalla retorica e dalla pratica del Presidente. Che invece ha conservato o addirittura rafforzato il suo vantaggio nell’America profonda dei flyover states che i liberals delle coste atlantiche a mala pena conoscono (in Indiana, North Dakota e Missouri i repubblicani hanno conquistato poltrone senatoriali che erano democratiche) e nelle zone rurali che hanno un peso elettorale enorme. E soprattutto Trump e i suoi, col sostegno dei movimenti evangelici, hanno vinto in Florida, Iowa e Ohio, swing states dove tra meno di due anni si giocherà la partita della rielezione.

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